Tutti in Rete. La pandemia rivoluziona la comunicazione

di Paola Scalari

seconda parte

La classe.

La rivoluzione del passaggio delle nostre attività in internet ha attraversato la scuola. Chiuse le aule milioni di studenti potevano continuare a studiare solo da remoto. A una massa così grande di allievi che si sono trovati a dover rimanere a casa corrisponde un numero altissimo di docenti che dovevano insegnare da luoghi diversi dell’aula. Sono stati loro a fare la differenza. Disorientati e frastornati da poche e spesso contraddittorie indicazioni si sono posti la domanda su come adattare la loro didattica allo strumento telematico. E solo chi si è posto questa questione ha potuto adeguare la sua scuola al mezzo che ora doveva usare per realizzarla. Certamente chi già aveva un’idea di una formazione interattiva che metteva al centro i vissuti, le idee, le esigenze della classe è stato avvantaggiato poiché già aveva in mente come tenere insieme i suoi alunni e come renderli protagonisti del loro apprendimento. Una scuola che sapeva partire dal reale per approdare, attraverso le materie scolastiche, alla sua più articolata comprensione. Una scuola che non annoia perché riguarda sempre se stessi. Un’aula dove divertirsi poiché saper pensare offre molto piacere. Un apprendere che più che valutato viene incoraggiato. Certo a questi docenti è mancato il contatto diretto, ma lo hanno fatto quasi sparire di fronte al fascino e al piacere di nuovi apprendimenti su di sé, sui compagni, sulla vita. E le nuove generazioni, figlie di internet e grandi usufruitrici dello schermo televisivo, pur rimaste sole a casa hanno potuto vivere un gran sollievo nel sentirsi in compagnia.

E a partire dall’interazione con i loro sentimenti si è parlato di virus, di decreti governativi, di zone geografiche, di statistiche sui contagi, di storia della peste, di letteratura… Si è giocato con la grammatica per costruire strutture esatte e avere la facoltà di dire meglio ciò che si pensa. Si è fatta poesia sul dolore e sulla sofferenza umana. Si sono studiate le lingue per leggere i bollettini di altri Stati. E i ragazzini ci sono stati. Tutti. Puntuali. Qualche volta un po’ scapigliati. Quando volevano dentro ai loro pigiami o alle loro larghe felpe. Ma ci sono stati. E hanno imparato giocando poiché la loro classe era già una fucina attiva di pensieri, riflessioni, confronti. Gli insegnanti che invece avevano dismesso la funzione di educatori, di stimolatori del pensiero, di creatori di saperi per abbracciare l’idea che le loro conoscenze dovessero essere trasfuse nella mente dei bambini per poi andare a verificare quanto erano capaci di ripeterle si sono limitati, nel migliore dei casi, a spiegazioni e verifiche, indicazioni e richieste di dimostrare le capacità prestazionali. Senza passione. Spegnendo la vivacità fisica e mentale degli alunni. Abituati a calare dall’alto il lor sapere non sapevano come tenere i ragazzi davanti al monitor. E hanno visto telecamere spegnersi, giovani disertare l’aula virtuale, alunni sottrarsi all’impegno scolastico. Qualche genitore assistendo alla piattezza di quei discorsi lo ha concesso. Qualche altro, non avendo mai dato una particolare attenzione alla vita scolastica dei figli, se ne è disinteressato. E così si è evidenziata non tanto la forbice tra chi a scuola ha continuato ad andarci puntualmente rispetto chi ha chiuso anticipatamente l’anno scolastico, ma tra chi sa e chi non sa insegnare. Per la prima volta questi docenti non erano protetti dalle mura della scuola. Diventavano visibili a chiunque volesse aggiornarsi sul loro modo di fare lezione. Perciò la pandemia è stata la più grande fotografia dello stato dell’arte del mondo scolastico. Ha mostrato le falle che già conoscevamo, ha ampliato le differenze di cui eravamo già consapevoli, ha messo in rilievo la creatività vitale o la pazienza mortifera degli alunni seduti sui banchi di scuola. Ed è da qui che potremmo partire per ripensare ad una scuola meno ingessata, meno  ripetitiva, meno noiosa. Certamente i giovani hanno bisogno della scuola per socializzare, per imparare la vita comunitaria, per sentirsi parte di una istituzione visibile. Ma queste attività sono possibili anche in rete se si sa gestire il web. Perfino il movimento è concesso. Una caccia al tesoro, qualsiasi esso sia,  nelle loro stanze prima, nei cortili e nelle strade poi dà movimento al fare scuola. E quello che nella ricerca si trova poi lo si può interrogare per capirlo. La didattica a distanza non è una brutta esperienza se chi insegna continua a proporre un’esperienza viva, vitale, relazionale, di gruppo.

L’importante è dare spazio al sentire, allenare il ragionare, valorizzare l’originalità, supportare la ricerca che si fonda sul sapersi fare domande e non dare risposte scontate.


Per chi desidera approfondire questo argomento vi aspettiamo 

martedì 26 ottobre ore 21 

in Chiesa al Sacro Cuore di Gesù 

a Mogliano Veneto

con la dott. Paola Scalari che ci aiuterà a riflettere su: 

RIPARTENZE. Bambini e ragazzi che “navigano” dentro e fuori l’epoca del virus killer


http://www.paolascalari.eu/

paolahttps://www.edizionilameridiana.it/blog/

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