Tutti in Rete. La pandemia rivoluziona la comunicazione

di Paola Scalari

prima parte

Lockdown

Tutti parlano di Covid-19, ma nessuno veramente ne sa nulla, nemmeno la classe medica che vede vacillare il suo potere sotto il pressante urto del virus che toglie il respiro.

Gli scienziati parlano per ipotesi, ma lo fanno sotto i riflettori dei media divenendo ora i paladini dello sterminio sanitario ora i difensori dell’innocuo incedere della malattia. Le televisioni e i social passano dati, informazioni, notizie spesso confuse, ma sempre avidamente assorbite dal loro pubblico. Anche i numeri, si sa, vanno interpretati. Ognuno li legge a modo suo. Chi per calcare sulla catastrofe, chi per ribadire l’esagerato allarmismo sanitario. La laica medicina si mescola con la politica di parte. Intanto gli operatori che si preoccupano delle persone si sentono emarginati e tenuti in poca considerazione. Appare chiaro che l’urgenza sanitaria non comprende la necessità di preservare la mente delle persone. Si curano polmoni malati senza pensare alle valenze affettive di chi li possiede. Si ricoverano corpi isolandoli da tutti senza tenere in considerazione il terrore che gli esseri umani provano nel sentirsi malati e soli. Si crea un clima di paura come collante della solidarietà collettiva errando così l’impostazione psichica del problema. Concluso il momento del grande panico generale se ne pagheranno le conseguenze poiché non si è diffuso, moltiplicato, incrementato il senso di responsabilità, ma il terrore da cui poi si vuole fuggire. I primi segnali di questo allarmismo senza pensiero si vedono fin da subito. Uscite dal lockdown le persone si mostrano ancor più paranoiche, arroganti, insofferenti. Avviene lo sfogo delle “emozioni negative” prodotte dalla compressione fobica della mente individuale e collettiva. Saltano i parametri base della vita comunitaria, il rispetto dell’altro, la capacità di orientarsi nello spazio e nel tempo.

In mancanza di un’educazione al senso di responsabilità collettiva la vicinanza all’altro, invece di divenire la strada maestra del vivere, si presenta dunque come l’eccezione.

I più fortunati trovano un medico o un infermiere che capisce l’importanza dello stato d’animo del paziente e che attiva un collegamento video con un familiare. Vedersi senza un abbraccio quando si ha paura di perdersi è davvero poca cosa, ma meglio di nulla. Certo che quella connessione, quelle due parole pronunciate sommessamente, seppur nel pudore di essere ascoltati da estranei, veicolano l’amore che tiene legati alla vita. Se mancano quelle che senso ha guarire, lottare, soffrire. Eppure il collegamento via internet tra un paziente e un familiare è diventato una notizia tanto è stato effettuato raramente, sottovalutato e disatteso. La paura di morire, e anche la morte, sono arrivate non solo senza una mano cara che tenesse stretti stretti confortando fino all’ultimo attimo, ma anche senza uno sguardo amoroso pervenuto via internet.

La connessione nel web c’era, ma pochi l’attivarono. La possibilità di andare al capezzale del malato, con tutti i dovuti presidi sanitari c’era, eppure non si ritenne di dover investire su questo atto di pietà.

Le generose iniziative personali negli ospedali valgono come atti d’amore soggettivo, ma il sistema sanitario non prese in considerazione che una costante possibilità di collegamento con chi si ama, in presenza o in Rete, fa parte della cura. E la parte sanitaria che si occupa della mente a sua volta tacque, si ritirò, fu spaventata. Pochi rimasero in prima linea in quanto consapevoli dell’importanza di continuare ad occuparsi della vita psichica.

Si sarebbe potuto utilizzare quel tempo per incrementare il senso dei legami? Una videochiamata può rendere meno devastante il dolore? Una connessione fa sentire di meno lo strazio di soffrire dentro ad un isolamento inumano? Una chat rappresenta una rassicurazione possibile mentre il virus teneva gli individui distanti, isolati, reclusi?

Per stabilire un rapporto è necessario saper aprire la propria mente, farvi accomodare l’Altro, riuscire ad ascoltare le tonalità emotive che il discorso costruito insieme sanno veicolare, essere in grado di provare empatia e poter mantenere la giusta distanza per garantire la funzione di aiuto. Dentro a questo modello relazionale l’uso di internet può essere annoverato tra i pensieri-azione, le mosse parlanti, le interpretazioni agite. Un’azione dunque deliberata, necessaria, pensata per mantenere viva la possibilità di una narrazione condivisa quale strumento efficace di “costruzione” della realtà interna dei soggetti.

Sappiamo che corpo e mente sono legati e ora tutto questo parlare di vivi e di morti, di soggetti gravemente malati e di persone solo apparentemente sane mette a dura prova la vita psichica.

Si prende per reale ciò che le emozioni distorcono. Si teme il contagio, giustamente. Si evita però di parlare delle malattie mentali che stanno facendo esplodere le persone, ingiustamente.

Ludwing Binswanger filosofo e psicologo, ci introduce al superamento dei confini fra psichiatria e filosofia per delineare una visione totale dell’uomo fatta di corpo e anima. Parlando dell’homo existentia ci mostra la persona nella sua totalità in quanto essere che è nel mondo; come ciascuno esista attraverso la sua dimensione corporea. Non esiste una storia di vita senza un organismo umano e viceversa. Esorta infatti i medici a prendere in considerazione il Leib e non solo il Korper.    

Per inoltrarci in questa direzione non abbiamo un cammino piano da percorrere. Con genitori, educatori, insegnanti, psicologi, assistenti sociali, adulti competenti vorremmo parlare di questo per condividere la ricerca di senso. Il mondo conosciuto sta cambiando sotto gli occhi di tutti e tutti vi reagiscono come possono, così fanno anche gli operatori sociali, psicologici, pedagogici educativi. Viene però evidenziandosi chi, attanagliato dal panico, si blocca costruendo muri, divisori, barriere e chi invece si apre all’incontro con l’altro per imparare insieme a lui come affrontare questo grave momento storico. Il “Nessuno si salva da solo” riecheggia nelle case grazie anche a Papa Francesco che lo pronuncia solennemente mettendo l’umanità tutta dentro ad una stessa barca. Ma la navigazione è incerta anche nella Chiesa che deve fare i conti con attacchi da parte di religiosi e laici che esprimono insofferenza e critiche alle regole dello Stato. La Chiesa ufficiale mostra dunque la rotta, ma il popolo cattolico fatica a starci dentro figlio anche lui dell’individualismo esasperato.   

Eppure lo stesso Papa dà una lezione sulla potenza del contatto a distanza mettendo in scena una via Crucis che passerà alla storia. Francesco, solo e traballante, ripreso da tutte le televisioni del mondo in una Piazza San Pietro deserta, diventa un’icona struggente della pandemia. Una regia sapiente, entrando nelle case di milioni di persone, mostra la sofferenza del vuoto e la forza della presenza che testimonia l’esserci, producendo effetti potenti nell’animo dei fedeli, e non solo.   

L’unica certezza dunque è che dobbiamo apprendere ciò che non pensavamo di dover imparare e che per farlo è utile unire più menti, mettere al lavoro più soggetti eterogenei, costruire più gruppi di lavoro, rifondare il senso etico delle istituzioni.


Per chi desidera approfondire questo argomento vi aspettiamo

martedì 26 ottobre ore 21

in Chiesa al Sacro Cuore di Gesù

a Mogliano Veneto

con la dott. Paola Scalari che ci aiuterà a riflettere su:

RIPARTENZE. Bambini e ragazzi che “navigano” dentro e fuori l’epoca del virus killer


http://www.paolascalari.eu/

paolahttps://www.edizionilameridiana.it/blog/

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