Non lasciarti cadere le braccia, oh malati di tristezza!
Oggi è una domenica importante. Forse tra le più importanti di tutto il tempo dell’avvento. È la domenica della GIOIA, di LETIZIA, del cuore colmo di gratitudine.
Oggi è ricordato che non c’è notte che non sia gravida del Sole che verrà e verrà presto.
Non c’è tenebra della nostra vita che non porti già in sé il chicco luminoso della speranza.
Non c’è croce sulle nostre spalle che non sia già fecondata dalla potenza della risurrezione.
Oggi è la domenica della gioia e non a caso il profeta Sofonia ci dice con forza: “Non lasciarti cadere le braccia”.
Eppure in questi giorni mi sono imbattuto in un’immagine con questa scritta: “Sono triste… con la collaborazione di tutti! Grazie. Fine”. Frase – per me – di una potenza inaudita: una tristezza personale arricchita dal contributo degli altri.
Allora in questa domenica della gioia non possiamo non porci una domanda: quanto il nostro modo di scegliere, parlare, agire, guardare contribuisce alla tristezza degli altri?
Quanto, invece, riusciamo a contribuire alla felicità gli uni degli altri?
Credo sia questa la sfida più bella da accogliere in questo avvento: provare a impegnarci a rendere felice qualcuno essendo ben consapevoli che nessuna gioia è autentica e vera se non è condivisa con qualcuno e che nessuna felicità è vissuta in pienezza se qualcuno attorno a noi è triste e chissà, forse, triste anche grazie al nostro contributo.
Mi piacerebbe che in questa domenica di avvento ci portassimo a casa questo slogan:
“SONO FELICE … CON LA COLLABORAZIONE DEGLI ALTRI. GRAZIE!”.
Siate lieti
Non lasciamo cadere le nostre braccia ai fianchi della nostra vita, aspettando tempi migliori, fortune più grandi, doni che non avremmo mai, perché, probabilmente i tempi migliori non ci saranno mai. Questo è il tempo che siamo chiamati a vivere.
Qui e ora siamo chiamati a essere testimoni di gioia, di sperare contro ogni speranza.
Allora, non perdiamo tempo in vane illusioni, ma rimbocchiamoci le maniche: intrecciamo relazioni sane, belle, di vero amore senza nessuna pretesa, ricatto, o invidia; tratteniamo parole e pensieri di male, continuiamo a compiere gesti di sovrabbondanza di amore e a rivestirci di quella Gloria che lascia un segno positivo e luminoso al nostro passaggio.
Stiamo lieti nel Signore – come ci invita san Paolo – perché lui è vicino, è su di noi, è pelle a pelle con noi, è carne nella e della nostra carne. E questa letizia non è a buon mercato, ingenua e bambina.
San Paolo non dice che non ci saranno fatiche, problemi o croci… ma semplicemente quando queste arrivano, ci chiede di non aver paura affidando tutto al nostro Dio, a gettando su di Lui ogni preoccupazione.
Che cosa dobbiamo fare
Allora non ci resta che far nostra la domanda che attraversa tutto il vangelo di oggi e che è posta a colui che aveva capito come vivere e gustare l’Amore di Dio e che lo attendeva più di ogni altra cosa al mondo: Giovanni il Battista, il grande profeta che traghetta il vecchio testamento nel nuovo testamento. Che cosa dobbiamo fare? Chiedono le folle, i pubblicani, i soldati.
E le risposte ci offrono tre vie:
1. la via della CONDIVISIONE (le tuniche): vuoi vivere bene l’avvento e prepararti davvero a questo arrivo di Gesù? Sii capace di gesti di condivisione, di generosità. Condividi il tuo tempo con qualcuno, condividi lo spazio, uno sguardo, un abbraccio. Condividi un sorriso, un saluto, un bacio.
2. la via dell’ONESTÀ : “non esigete di più di quanto vi è fissato”. Cerchiamo di essere delle persone oneste, capaci di non chiedere più del dovuto, di non pretendere cose che non possiamo avere, di non rubare nulla a nessuno in cose, affetti, persone. Siamo onesti nel nostro lavoro? Siamo onesti nelle nostre relazioni affettive? Siamo onesti con noi stessi?
3. la via del SERVIZIO: i soldati abusavano del loro potere, anziché essere a servizio del popolo. Tutti noi abbiamo un ruolo, tutti noi abbiamo un potere. Chi è genitore ha potere sui figli. Chi è figlio ha potere sui genitori. Il marito a potere sulla moglie e la moglie sul marito. Chi ha un ruolo di responsabilità su altri ha un potere. Un datore di lavoro ha un potere. I nonni hanno un potere sui nipoti e sui propri figli. Insomma, tutti per la nostra identità e per il ruolo che occupiamo durante le nostre giornate esercitiamo dei poteri.
Come esercitiamo questo potere? Per noi stessi o cercando di metterci al servizio degli altri? Siamo capaci di non opprimere nessuno, di non maltrattare, di cercare il volto dell’altro per abbracciarlo e non per condannarlo?
Le letture di questa domenica le trovi
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