Gerico
Gerico rappresentava la speranza, il riposo, la sicurezza. Veniva chiamata la “città delle palme” e la parola Gerico ha due significati il primo, arabo, quello di “profumato”. Gerico era un’oasi nel deserto arido e difficile, ostile all’uomo e privo di vita. Qui c’è Gerico con le sue palme, con i suoi profumi, le sue acque e le sue ricchezze e le sue fortezze. Qui Gesù si ferma per riposare dopo i suoi lunghi viaggi nel deserto di annuncio, di persone da amare e guarire. Il suo secondo significato, ebraico, è Luna, la città dove nemmeno le tenebre potevano attecchire. Gerico era la città della luna, del sole notturno.
Eppure Gerico ha un proprio inferno. O meglio, geograficamente parlando è il luogo che è più vicino alle profondità della terra, a suoi inferi. Gerico infatti si trova -250 mt, nella depressione del Mar Morto, essendo così la città posta a più bassa altitudine del pianeta.
Nel suo seno, nel cuore dei suoi inferi, la città di Gerico, la città della Luna (=Gerico) e del profumo, portava un seme malato che grida e grida in mezzo alla folla, grida fra le parole dei discepoli del Signore che gli intimano di stare zitto. Nel grembo di Gerico c’è Bartimeo. Nella Bella Gerico profumata, ricca, fertile non mancava il male, il dolore e l’indifferenza. Non mancava la malattia, la “maledizione”.
Qui nel profumo della gente c’è l’odore del povero Bar-timeo. Nessuno si curava di lui, della sua voce, delle sue mani rivolte a supplicare. Bartimeo non aveva nulla a che fare con l’oasi di Gerico eppure lì dimorava con il suo mantello, lì mendicava un pane, lì cominciò a gridare verso il suo Signore. Lì, invisibile per i sani ciechi che popolavano quella terra e accorrevano al Signore.
Anche noi siamo una Gerico
Pure noi siamo Gerico. Anche noi profumiamo, ci vestiamo bene, non ci manca nulla o quasi e in coscienza forse ci riteniamo a posto.
Ma il Vangelo ci dice che non c’è Gerico nella vita dell’uomo che non abbia nel cuore il suo Bartimeo: la sua parte cieca, che grida di incontrare Gesù. Una zona d’ombra che ha bisogno di essere guardata, amata, toccata, illuminata.
Ecco allora la domanda che ci possiamo regalare: se noi siamo Gerico, chi è il nostro Bartimeo? Qual è quella parte cieca in ciascuno di noi, che grida al Signore: Abbi pietà di me! Che io veda di nuovo!!!
Seduto lungo la strada a mendicare
Bartimeo, figlio di Timeo è un gioco di parole (bar=figlio).
Questo cieco non ha nome. Possiamo essere noi quel figlio.
Oggi la parola di Dio ci sprona a intraprendere il viaggio del cieco Bar-Timeo, di alzarci da dove siamo seduti, o caduti… da dove non riusciamo più a credere e sperare che qualcosa possa cambiare e mettiamoci a gridare, in piedi, e andiamo al Signore che ci vede e ci sente benissimo.
Gettato via il suo mantello
Infine c’è un mantello che viene abbandonato a terra. Il mantello era tutto per quel povero: segnava il suo territorio, lo proteggeva dalle notti fredde passate a crocicchi delle strade e soprattutto per nascondersi dagli occhi pieni di giudizio delle persone.
Lui lascia quel mantello, le sue sicurezze e ricchezze, per andare dal suo Signore e divenire suo discepolo. Certo che non gli sarebbe più servito.
La potenza della fede che lo ha fatto gridare e alzare lo stava già guarendo.
Qual è il nostro mantello che ci tiene ancorati a terra impedendoci di gridare, camminare, amare?
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