È BELLEZZA CHE S’ALZA


A seguire il testo

Terre di deserti tra sogni e visioni, fame e sete

Quella vecchietta cieca, che incontrai la notte che mi persi in mezzo al bosco,me disse: – Se la strada non la sai, ti accompagno io, ché la conosco.

Se hai la forza di venirmi appresso, di tanto in tanto ti darò una voce,

fino là in fondo, dove c’è un cipresso, fino là in cima, dove c’è la Croce…

Io risposi: – Sarà … ma trovo strano che mi possa guidare chi non ci vede… –

La cieca allora me prese la mano e sospirò e disse: – Cammina! – Era la Fede. (Trilussa)

Quale atteggiamento accogliere

Dal vangelo secondo Giovanni 7,37-38

Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: «Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgherannodal suo seno». Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui. 

Come gettare luce su questo tempo?

Il momento storico che stiamo vivendo da troppo tempo se dovessi sintetizzarlo con una immagine utilizzerei l’immagine del deserto. Credo siamo tutti d’accordo nell’affermare che siamo tutti stanchi, esausti. Cerchiamo la luce ma con fatica vediamo. Di più, siamo affamati e assetati di relazioni, di serenità, di qualche appiglio di sicurezza e sembra non esserci nulla che sfami e disseti veramente. Questa sera Gesù ad alta voce esclama che lui può donarci quello di cui abbiamo bisogno. Di più, noi abbiamo già quello che ci serve per non avere più paura: ossia lo Spirito Santo. Al Salmo 87 leggiamo: Sono in te tutte le mie sorgenti. Sì, in noi, ci sono tutte le sorgenti di Dio. Ognuno di noi così come è, con la sua storia di ombre e di luce, di vita e di morte, di passione e tradimenti ha in sé tutte le sorgenti di Dio. In questo deserto il primo annuncio è: non cerchiamo l’acqua, le oasi, perché esse sono in noi.  Sì, sono consapevole che tutto questo non è una magia e ricordarci di questo non toglie immediatamente la fame, la sete, l’aridità, la stanchezza.  E sono ancor più consapevole che sebbene siamo qui – almeno credo – tutti battezzati e ricolmi dell’abbondanza dello Spirito non è per nulla scontato che ci crediamo, che siamo credenti. Quindi come gettare luce su questo tempo? Prima di tutto è importante riconoscere di essere affamati e assetati di relazioni e di vita. Accettare che questi anni ci hanno desertificato l’anima e il cuore e hanno scarnificato la nostra stessa carne riducendo all’osso le nostre relazioni, gli affetti, i tocchi. E, soprattutto, non nascondere a noi stessi le ombre accese da questo tempo. Desideriamo questa sera offrire dei lumicini, delle pozze d’acqua limpida, del cibo buono per continuare o riprendere il passo da credenti nella vita, nell’amore possibile, nella speranza che si fa spazio fra la dispersione.

Il deserto

Per fare questo ho scelto l’immagine del DESERTO biblico. Mi sembrava che potesse non solo descrivere questo tempo che stiamo vivendo ma, soprattutto, donarci qualche indicazione per vivere il tempo presente e futuro. Il deserto biblico, infatti, è immagine della prova, della tentazione, della provvisorietà, della fatica, del cammino, della dispersione, della crisi, del fallimento, della solitudine, della relazione, della speranza, dell’intercessione. Ascoltiamo un testo principe del deserto del popolo di Israele: Deuteronomio 8,1-20.

Dal Libro del Deuteronomio 8,1-20

Baderete di mettere in pratica tutti i comandi che oggi vi dò, perché viviate, diveniate numerosi ed entriate in possesso del paese che il Signore ha giurato di dare ai vostri padri. Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. Il tuo vestito non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni.  Riconosci dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore tuo Dio corregge te.  Osserva i comandi del Signore tuo Dio camminando nelle sue vie e temendolo; perché il Signore tuo Dio sta per farti entrare in un paese fertile: paese di torrenti, di fonti e di acque sotterranee che scaturiscono nella pianura e sulla montagna; paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi, di olio e di miele; paese dove non mangerai con scarsità il pane, dove non ti mancherà nulla; paese dove le pietre sono ferro e dai cui monti scaverai il rame. Mangerai dunque a sazietà e benedirai il Signore Dio tuo a causa del paese fertile che ti avrà dato. Guardati bene dal dimenticare il Signore tuo Dio così da non osservare i suoi comandi, le sue norme e le sue leggi che oggi ti dò. Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato, quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione servile;  che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri, per umiliarti e per provarti, per farti felice nel tuo avvenire. Guardati dunque dal pensare: La mia forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze. Ricordati invece del Signore tuo Dio perché Egli ti dà la forza per acquistare ricchezze, al fine di mantenere, come fa oggi, l’alleanza che ha giurata ai tuoi padri. 

Vie per l’ascolto

Che cosa vuole Dio per ciascuno? Vita, fecondità, terra. Nel tempo del deserto, nel tempo della vita, nel tempo di Dio c’è sempre e solo una triplice promessa: vitafeconditàterra. Dio non desidera null’altro per ciascuno di noi: vita, fecondità, terra = FELICITÀ. Quando manca la vita, o la fecondità, o la terra manca qualcosa di Dio, facciamo esperienza della sua assenza, arriva l’aridità del cuore, la sabbia, il deserto. Se dovessi sintetizzare in una parola questa volontà di Dio userei la parola: abbondanza, o, giustamente, VASTITÀ. Paradossalmente il deserto può divenire esperienza di vastità. Quando parlo di vita, fecondità, terra si intende in senso ampio e contemporaneo – contemporaneamentre -. Non c’è vita senza fecondità e non c’è fecondità senza terra e viceversa. Vita, fecondità, terra significa pienezza di esistenza, realizzazione nell’amore e aggrapparsi a questa promessa di vastità. Amore che sempre è fecondo anche quando non ci sono figli. Amore che è sempre vita anche quando arriva la morte. Amore che è sempre terra anche quando si fa l’esperienza di perdere tutto

Che cos’è il deserto? Il deserto è inospitale. È una realtà sconosciuta e desolata; è il luogo dell’assenza della parola (silenzio) e dell’assenza della vita (morte), sia vegetale che animale; tutto è brullo, arido, sterile. La vita umana è assente perché non sussistono le condizioni biologiche minime necessarie alla sopravvivenza del corpo. È un luogo flagellato dal sole cocente durante il giorno e da un freddo pungente la notte; è arido e inospitale, che suscita timore, paura. Nel deserto si può morire

Che cos’è il deserto? È una domanda sulla Parola. In ebraico la Bibbia nel suo linguaggio ha una certa dose di ironia. La parola deserto si dice “midbar” il “mi” è un suffisso interrogativo e poi “dbar”, che significa “parola”. Ecco, si gioca con questo “mi” interrogativo che apre una ricerca, un percorso, una domanda che il deserto riassume: la parola! L’esperienza del deserto è una domanda sulla parola che si rivela al popolo. Da qui comprendiamo che nell’esperienza del deserto c’è sempre un Dio che parla e un popolo che ascolta, c’è un’umanità che parla e qualcuno che dovrebbe ascoltarla. Israele impara ad ascoltare la voce di Dio nel deserto attraverso questa pedagogia della parola

Il deserto è un passaggioIl deserto finisce. Ecco la promessa, ecco la speranza: il deserto è esperienza che si conclude, che ha una fine! Il deserto, nella Bibbia, non è mai la destinazione definitiva e finale dei credenti. Non lo fu per Abramo, né per Mosè, né per Israele, né per Elia, né per Giovanni Battista, né per Gesù. Nel deserto ci si va solo per un periodo preciso (cfr. 40 giorni, 40 anni). E in questo tempo Dio si fa pellegrino con l’uomo. In questo clima di nomadismo Israele coglie che YHWH è il suo Dio, che lo segue costantemente nel cammino verso la terra, garantendogli un pozzo d’acqua a cui abbeverarsi. È un cammino di tensione, ma anche di speranza. 

Riconosci in cuor tuo e osserva camminandoNon rimanere immobile! L’invito è chiaro e meraviglioso: riconosci le fatiche che vibrano nel tuo cuore, portale alla luce, non impedire al deserto di riempire i tuoi polmoni ma fai tutto questo osservando e camminando. Non rimanere immobile. Tu cammina. Alzati e cammina e cammina non da uomo o donna superficiale. L’invito è non rimanere sulla “pelle” dell’esistente, ma vai in profondità, le ferite sono benedizione per introdurci, per percorrere nella vastità. Osserva e riconosci e cammina. 

Mangerai a sazietà e benedirai il Signore per la terra fertileCondividi e parla bene perché riconosci! Forse uno degli atti più alti della comunione fra le persone è magiare insieme, condividere un tempo, uno spazio fatto di parole e silenzi, sguardi e sorrisi, cibi e gusti. Quanto è mancato questo momento condiviso in questo tempo! Forse in quello che abbiamo vissuto e ancora stiamo vivendo comprendiamo la bellezza di questo versetto. Mangiare senza aver paura. Lo sentite il respiro profondo in questa espressione? Ci manca condividere il pasto con le persone amate senza temere di ferirci da un possibile contagio? Ma pensiamo a quanto questo sia illuminante – ecco un assaggio di vastità – quando arriveranno tempi migliori dove non ci sarà più la paura di ferirci per il virus, mantenere viva una sana paura di non ferirci l’un l’altro con un gesto, una parola, uno sguardo e quindi benedirci gli uni gli altri? Mangia e benedici. Vivi la comunione proteggendo l’amore parlando bene gli uni degli altri. Mangia e vivi, mangia e benedici, mangia e proteggi

La tentazione di dimenticare e ascolta. Tu abbi cura della memoria! Il popolo, una volta entrato nella terra promessa, comincia a coltivare i campi e diventa un popolo sedentario, si costruisce delle case stabili e le abita come sua dimora fissa. Il suo bestiame si moltiplica, possiede un capitale sul quale può contare. Questa situazione di benessere e di ricchezza porta il popolo a entrare nella prova, una verifica della sua fedeltà davanti al Signore. Solo il costante ricordo di Dio come colui che è provvidente e ama il suo popolo potrà allontanare da Israele la presunzione di aver raggiunto definitivamente e da solo la terra (cfr. Dt 9,7). Si precisa sempre di più, pertanto, il duplice imperativo: «Ricordati – Ascolta». Israele è chiamato ad avere, anche nell’agiatezza, lo stesso atteggiamento che lo caratterizzava quando era pellegrinante nel deserto, quando abitava sotto le tende e stava alla sequela del Signore, imparando a comprendere che il cibo che sfama la vera fame dell’uomo è solo la sua Parola di speranza, di amore e di vita. Il testo del Deuteronomio ci pone nella corretta direzione: il ricordarti, è un memoriale, un far memoria e come ben sappiamo biblicamente e liturgicamente parlando far memoria significa rendere presente, rendere reale il ricordo come se fosse vissuto nel momento attuale. Comprendiamo bene che se il deserto è lo spazio in cui, fra cadute e risalite, tra sconfitte e vittorie, tra parole e silenzi, si costruiscono nuove vie, farne memoria significa stare in cammino senza rigurgiti nostalgici di un passato che non c’è più.

Il Signore ti ha fatto percorrere il cammino. Sarai capace di libertà? Questo lungo cammino è stato voluto da Dio. Il popolo non aveva né la forza di liberarsi da soli, né la voglia. Sì perché il popolo non ha mai chiesto di essere liberato. È Dio che sente la loro fatica, i loro lamenti, le loro grida ma non hanno mai chiesto di essere liberati. Un popolo schiavo, che non ha elaborato processi di liberazione propri, per il quale la liberazione è stata un atto esterno, sarà in grado di camminare nella libertà? Se tu non hai scelto di essere libero e sei stato liberato – questa è la domanda antropologica che pone l’Esodo – sarai poi in grado, quando sei stato liberato, di camminare nella libertà? Tutta la narrazione del deserto dice di no, che non basta aver strappato Israele dall’Egitto. Per usare il linguaggio della tradizione ebraica, bisogna strappare l’Egitto dal cuore di IsraeleVastità è credere che qualsiasi catena porta in sé il grido di liberazione che per essere totalizzante deve essere riconosciuto e urlato. 

Egli ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna per farti capire… Vastità: Aprire sentieri inediti. È un Dio che svezza il popolo, lo nutre, quando fa i capricci e vuole l’acqua, gli insegna anche i ritmi sul cibo (la manna, che bisogna raccogliere per sei giorni). È questa la tesi del deserto: da una parte c’è il cammino già tracciato, che produce la morte del faraone, e dall’altra parte il deserto dove certo ci si perde, dove certo ci si smarrisce, ma, proprio perché è il deserto, si possono tracciare nuovi cammini. Si possono tracciare nuove direzioni. Prova a scrivere le tue vie inedite sulle geografie del tuo cuore e il cuore qui non è il luogo dei sentimenti, è il luogo del discernimento, dove le Scritture stesse non solo parlano, ma scrivono qualcosa di nuovo. La narrazione è molto complessa e Israele riconosce che, nonostante tutto quello che Dio ha compiuto, non è riuscito a scoprire le vie inedite di Dio, i sentieri inediti che Dio era disponibile ad aprire in quel deserto. Il deserto rappresenta lo smarrimento della via ma rappresenta anche il luogo dove è possibile non solo raddrizzare i sentieri, processo educativo, ma anche aprire sentieri inediti

Una conclusione aperta

Deserto luogo provvidenziale di Presenza. E gli altri diventano miei fratelli e sorelle.  Il deserto che, all’inizio sembrava sintetizzare la realtà del male, ora grazie all’azione stessa di Dio diventa luogo privilegiato della sua Presenza. Il deserto allora diventa luogo in cui si coglie la verità di se stessi, del tempo, della storia, degli uomini riscoperti come fratelli da amare e non concorrenti da eliminare.

Deserto di fede. Tempo di trasformazione. Il deserto della fede costituisce un tempo peculiare della pedagogia di Dio nell’educare il suo popolo; è autentico luogo e tempo di trasformazione delle nostre povere vite, nel quale impariamo di nuovo a conoscere il Signore. Se la fede non è ferita, difficilmente è autentica. Ferità dal dubbio, dal tradimento, dall’incostanza, dalla povertà, dal silenzio, dal grido. La fede ferita è una fede sempre in trasformazione. Il deserto diventa via privilegiata per riconoscere, fare verità delle proprie ferite e farne trasformazione, occasione di vastità.

Deserto di morte. Tempo di opportunità. Il deserto, che evoca morte e aridità nel nostro immaginario, può essere una vera opportunità di verifica perché è il luogo dell’autenticità, della verità di sé e della crescita. Arrivando all’essenziale possiamo comprendere chi siamo e se abbiamo fiducia in Dio. 

Deserto obbligato. Tempo di chiamate. Attenzione che l’esperienza del deserto nella Bibbia, soprattutto nel Primo Testamento, non è quasi mai una scelta della persona o del popolo (se pensiamo a Israele) ma è sempre “obbligata” da Dio che chiama a seguirlo in quel luogo, su quel monte, in quel deserto. Siamo chiamati a cogliere i segni di Dio nella storia, nel nostro tempo, in questo preciso momento. Intravvedere la sua parola scritta fra le trame della storia. Riconoscere i suoi perché, le possibili risposte, i sentieri tracciati… 

Poesia Walt Whitman 

Respirare l’aria, parlare, passeggiare, 

afferrare qualcosa con la mano. 

Essere questo incredibile Dio che io sono.

Oh meraviglia delle cose,

anche delle più piccole particelle!

Oh spiritualità delle cose! Io canto il sole all’alba e nel meriggio,

o come ora nel tramonto:

tremo commosso della saggezza

e della bellezza della terra

e di tutte le cose che crescono sulla terra.

E credo che una foglia d’erba non sia meno di un giorno di lavoro delle stelle.

E dico che la Natura è eterna, che la gloria è eterna.

Lodo tutto questo con voce inebriata

perché non vedo un’imperfezione nell’universo, 

non vedo una causa o un risultato che, alla fine, sia male.

E alla domanda che ricorre

“Che cosa c’è di buono in tutto questo?”

La risposta è:

che tu sei qui, che la vita esiste, che tu sei vivo.

Che il potente spettacolo continua

e che tu puoi contribuire con un tuo verso,

Che il potente spettacolo continua

e che tu puoi contribuire con un tuo verso.

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