Di chi è la festa che celebriamo?
Oggi celebriamo la solennità della Santissima Trinità. Mi chiedo, a chi serve questa festa? A Dio? A noi? Alla Chiesa? Al Mondo? A chi serve? Se serve! Di solito, quando si celebra una festa è il festeggiato a essere il protagonista della giornata. Ma a quanto pare, la festa che celebriamo oggi, a differenza delle nostre feste, il protagonista non è la Santissima Trinità, che è la festa che celebriamo, ma il centro, il cuore, il soggetto di questa festa siamo noi, non la Trinità. È l’uomo. I ruoli si sono invertiti. Si festeggia la Santissima Trinità, ma è l’uomo, questa umanità a essere il centro della festa.
Basta ascoltare le letture che la liturgia, oggi, ci propone, in cui è ricordato continuamente quanto grande è la nostra dignità, quanto lo Spirito Santo ci fa e ci rende quotidianamente Figli di Dio e, non solo, ma ci fa eredi del Padre e coeredi di Cristo.
Oggi, festa della Santissima Trinità, dell’amore di comunione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, la chiesa ricorda con forza che noi non solo siamo a immagine e somiglianza di questa comunione, ma che apparteniamo a essa, che con il mistero dell’incarnazione e della risurrezione di Gesù, la nostra stessa carne ha preso parte definitivamente nella “casa” della Trinità.
Ci siamo dentro interi!
Siamo innalzati agli onori della Santissima Trinità: quale grandioso mistero!
Se solo ne avessimo un po’ più di consapevolezza.
Mosè parlò… e tu cosa dici? Cosa dici tu?
Da qui, colgo, alcuni inviti della parola di Dio. Dalla prima lettura, il primo versetto, può aprirci a una riflessione disarmante e che chiede verità nella nostra vita. Scrive, l’autore del Deuteronomio: “Mosè parlò al popolo…”. Già! Mosè parlò al popolo. Non posso sorvolare su quel verbo: “parlò”. Mosè, consapevole della sua chiamata e della sua missione di guidare il popolo di Dio alla Terra promessa, si fa voce di Dio e parla.
Allora chiedo a me e voi: Mosè ha parlato, parla e incoraggia il suo popolo, lo guida e io? Io cosa dico? E tu? Cosa dici tu? Della tua vita, con la tua vita? Cosa dici tu, che sei qui a incontrare il mistero dell’amore della Trinità che trova massima manifestazione nell’eucaristia? Che cosa dici? Come a dire non aspettare che sia il papa a parlare? Non aspettare le parole di quella persona importante? Di quel santo? Di quell’apparizione? Di quel laico impegnato? Non aspettare la sua parola. Tu cosa dici? Cosa dici di te stesso? Con la tua vita?
Cosa dici con la tua bocca? Come parli tu?
Non aspettare che ci siano le persone esemplari per prendere spunto, non aspettare che siano altri a testimoniare, a dire, a parlare, tocca a te! È il tuo momento. Mosè, non ha atteso che ci fosse qualcun altro! Mosè ha compreso il suo ruolo, ha assunto la chiamata di Dio e parla? E tu? Cosa dici te, con la tua parola e la tua vita, di tutta questa verità donata, di questa grazia sovrabbondate che ti è stata riversata nel petto!
Gli undici andarono in Galilea: il mistero della ferita
Non nascondiamoci dietro le nostre paure. Non scusiamoci sotto le nostre piccolezze. La chiesa descritta nel Vangelo di oggi, che accoglie la grande missione di Gesù Risorto di rendere figli con il Battesimo tutte le genti affinché nessuno muoia nella solitudine, è ferita, è infranta, è spezzata. È una chiesa in lutto, fallita. Gli apostoli ritornano in Galilea, da dove tutto era partito, come in un corteo funebre: Giuda e Gesù sono assenti e, per coloro che non avevano visto il Risorto, sono entrambi morti non modo violento: Giuda suicida, Gesù in croce… peggio di così!! Non è più la chiesa dei 12 apostoli, la chiesa tutta intera. La chiesa del Risorto, che nasce sotto il costato di Gesù, non è più l’immagine della perfezione (il numero 12 rivela questo nella Bibbia). La chiesa gravida della missione di Cristo Risorto, è una chiesa imperfetta, spezzata, spaccata, in lutto. È la chiesa degli Undici. Ma nonostante questa triste realtà, non si piange addosso, no, essa ascolta la voce del Risorto e parte. Non dice di no, non rifiuta la missione ricevuta. Non si scusa dicendo passa un’altra volta. Non si nasconde, ma va, si mette in cammino, parte, parla, annuncia, battezza.
Non fermiamoci dietro le nostre paure. Non freniamoci con le scuse di inadeguatezza che possono sorgere. Impariamo a parlare, ad annunciare, a essere testimoni del Battesimo che abbiamo ricevuto perché spesso è dalla feritoia nel muro delle nostre esistenze che passa maggiormente la luce del Sole.
Aiuto Don Vanio! Non ci dai scampo! Ci prendi di petto: “tu cosa dici?” È vero, mi darei mille giustificazioni per dichiararmi incapace, inadeguata, per mandare avanti chi è molto più bravodi me a portare il lieto annuncio!… Eppure è vero: anch’io, con tutte le mie povertà e i miei peccati, sono chiamata a riconoscere in me la forza, la bellezza e la grandezza della Trinità e a parlare, con la mia vita, di questo incredibile Dono offerto a ciascuno di noi per essere a nostra volta dono per gli altri!.
Grazie!
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