Una Scuola a corto di ossigeno

di Marco Di Benedetto*

Manifesto per una “rianimazione spirituale” della comunità scolastica

[prima parte]

L’anno scolastico si è concluso. E ora che ci è offerto il tempo della sosta estiva, è probabilmente il momento opportuno per cominciare a “studiare” quello che abbiamo vissuto. Non c’è compito per le vacanze migliore del ricordare, re-cordare, far tornare al cuore, non tanto per uno sforzo mnemonico fine a se stesso, ma per imparare a decifrare il senso di tutto quello che abbiamo sofferto, elaborato, odiato e amato di questo tempo vissuto sotto scacco pandemico.

La mia è una rilettura naturalmente soggettiva, un primo abbozzo di qualcosa che andrà sedimentato, arricchito dal confronto con tante altre voci, perché sono convinto che la “verità” non possa essere che sinfonica. 

N.B. Ho un famigliare attaccato da mesi a un ventilatore per i danni causati ai polmoni dall’infezione da Sars-Cov19, e conosce ormai molti dettagli di pneumologia. Il retroterra delle immagini adottate per questo breve articolo risente, fin dal titolo, di questa esperienza personale, che però è anche esperienza collettiva sotto tanti punti di vista. Anche chi non è stato direttamente colpito dal virus sa cosa significa, almeno psicologicamente, avere il fiato corto, sentirsi in affanno, patire la fame d’aria…

Vivere la scuola in tempo di pandemia: un “monachesimo” senza spiritualità?

La pandemia e le misure adottate con l’obiettivo di frenare la diffusione del virus hanno imposto a stuoli di adolescenti (e non solo) di diventare “monaci e monache” senza noviziato e, peggio ancora, senza spiritualità. 

Questa presa di consapevolezza, per quanto amara, può diventare l’occasione opportuna per invertire la rotta e immaginare che questo monachesimo forzato (in certi casi rivelatosi persino eremitico) possa presto o tardi brillare come una benedizione per tutta la comunità scolastica. E, quindi, per tutta la società.

Una generale osservazione delle condizioni di salute psicologica di molte studentesse e studenti e del loro rendimento scolastico non lascerebbe per sé spazio a ingenui romanticismi sulla possibilità di tirar fuori qualcosa di buono da questa ondata di malessere che ha travolto anche la comunità scolastica. Ma sono altrettanto convinto che tra il cinismo catastrofico e il romanticismo ingenuo vi possa essere un atteggiamento mediano capace di nutrire l’azione educativo-formativa con qualcosa di sostanzioso e persino saporito, sapendo trarre dal tesoro delle grandi tradizioni umane – spesso altrettanto, se non maggiormente provate da indicibili sofferenze – cose antiche e intuizioni nuove che, se saggiamente dosate, saprebbero aiutarci ad attraversare questo tempo in maniera resiliente, creativa e persino profetica.

La tesi di cui vorrei cercare di offrire una prima grezza declinazione è questa: quello che serve alla comunità scolastica, dimostratasi a corto di fiato in questo tempo di pandemia, è una rianimazione spirituale. La scuola – sì, anche e soprattutto la scuola pubblica e laica – ha un bisogno estremo di indicare la via verso una spiritualità capace di restituire una visione di persona che trascenda – e solo assumendole seriamente – le competenze, le conoscenze e le abilità, sulle quali noi docenti perdiamo la testa e talora la pazienza nella programmazione e nella verifica dei nostri percorsi didattici.

Quale “spiritualità” per la scuola?

Sono ben consapevole che parlare di “spiritualità”, oggi, è una operazione piuttosto rischiosa, immersi come siamo in un sincretismo di influenze culturali in cui risulta difficile definire quello che appartiene o meno a una determinata categoria concettuale. Per questo è doveroso o quantomeno opportuno che io cerchi di presentare la prospettiva in cui si colloca la mia proposta per una “rianimazione spirituale scolastica”. 

Chiunque abbia accostato con un minimo di curiosità e serietà la storia delle religioni, troverà abbastanza naturale riconoscere che, pur nelle consistenti differenze di origine storica e di espressioni culturali e linguistiche, le grandi tradizioni religiose dell’umanità (e non solo quelle monoteistiche) custodiscono una patrimonio comune legato all’intuizione di fondo circa la trascendenza della persona umana e il fondamento relazionale di tutto ciò che esiste. 

Anche le scienze naturali e le scienze umane, pur con metodi e obiettivi conoscitivi evidentemente diversi dalle religioni, hanno a loro modo garantito conferme scientifiche alle intuizioni spirituali che costituiscono il patrimonio comune delle religioni, o perlomeno della loro origine mistica. Forse proprio per questo la proposta di spiritualità oggi si riveste di una valenza di scientificità che la rende probabilmente più appetibile nel mercato del benessere. 

Detto in parole più semplici: la spiritualità fa star bene le persone, o perlomeno, le fa stare meglio. Anche le neuroscienze lo confermano con prospettive alquanto affascinanti, sebbene a volte inquietanti a causa delle tendenziali riduzioni antropologiche che affiorano in certi studi.  

Con ciò detto, rimane pur sempre il rischio di assumere dosi variabili di una qualche pratica spirituale (dalla meditazione trascendentale alla mindfulness, dallo yoga ai mantra, dalla devozione dei santi al digiuno, ecc.) come fossero dei placebo per la psiche, ovvero delle oasi di fuga dalla realtà, ma senza mai raggiungere il vero scopo di una autentica spiritualità: l’integrazione e la significazione di tutte le dimensioni della propria vita con il loro comune fondamento spirituale. 

Al di là delle spinte anche commerciali di questo ritorno di interesse per la spiritualità, resta il fatto che il recupero dell’orizzonte spirituale della vita offre una grande occasione per rilanciare una visione dell’esistenza in uscita dalle strettoie di una mentalità materialistica e consumistica che ha finito per soffocare molte delle migliori risorse dell’umanità, a partire dal suo rapporto con l’ambiente naturale.

La scuola – in un mondo che per qualcuno è forse fin troppo ideale – dovrebbe essere l’avanguardia di questo moto di ri-umanizzazione del mondo. 

Senza pretendere che la mia esperienza valga di più di quanto non valga per me, non posso sorvolare sul fatto che ogni settimana di questo anno scolastico io abbia incontrato più di 300 adolescenti in carne ed ossa, seppure, per lunghi periodi,  “pixelati” attraverso lo schermo del mio computer; non posso far finta che di non aver  sperimentato continuamente che qualcosa si è mosso quando ho osato sfiorare la loro anima (che per me è poi il vero scopo vocazionale dell’insegnamento). Perché gli adolescenti sono esagerati, nel bene e nel male, come lo fu quel dodicenne di Nazaret, impertinente e sfrontato coi suoi genitori e i suoi maestri (Lc 2,41-50). E allora, se si vuol loro bene, bisogna altrettanto esagerare con loro. Non solo con verifiche e interrogazioni e PCTO e competenze trasversali, ma anche e soprattutto con le loro anime.

[continua la settimana prossima]

*Marco Di Benedetto. Nato a Montebelluna nel 1976. Teologo liturgista e Docente di Religione presso Liceo Classico-Linguistico “E. Montale” e ITCS “L.B. Alberti” di San Donà di Piave. Traduttore editoriale e Mediatore penale.

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