di Paola Scalari . Docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia e supervisore alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG Istituto di Milano e di Tecniche di conduzione del gruppo operativo nella consociata ARIELE Psicoterapia di Brescia. http://www.paolascalari.it
Quella fase precaria dell’esistenza che è l’adolescenza, dove l’identità appena abbozzata non si gioca come nell’adulto tra ciò che si è e la paura di perdere ciò che si è, ma nel divario ben più drammatico tra il non sapere chi si è e la paura di non riuscire a essere ciò che si sogna.
(Umberto Galimberti)
Per ogni adolescente attraversare l’età incerta è di per sé complicato, fonte di crisi, di smarrimenti e di paure. Nel periodo della pubertà le mutazioni fisiche e psichiche aprono pertanto un periodo colmo di incertezze. Sono anni durante i quali una moltitudine di paure rende tempestosa la vita dei ragazzi e di chi sta loro accanto. Nel clima familiare, scolastico e sociale si respira un terrore che devasta la vita di tutti. La confusione regna spettrale quando, alle naturali ambasce dell’adolescente, corrispondono stravolgenti angosce negli adulti.
Il terrore che il ragazzo prova per ogni suo cambiamento attiva in madri, padri, educatori, allenatori e docenti la stessa ansia nell’affrontare ciò che è sconosciuto. Tutti sono pervasi dal dolore per il lutto di quello che è stato, dal desiderio di fuggire verso mondi illusori, dall’impossibilità di accettare i limiti imposti dalla realtà. Questo cortocircuito esplosivo crea tra le pareti domestiche, nelle aule scolastiche, nelle palestre cittadine e nelle strade dei quartieri un malessere dilagante.
Negli anni di passaggio dall’infanzia all’età adulta la mente del bambino evolve verso nuove capacità riflessive e critiche dovute alla consapevolezza di sé e del mondo che lo circonda. Il corpo, sotto la pressione della produzione ormonale, cambia forma e avverte nuove sensazioni. Nel periodo che va dai dieci ai diciassette anni nel bambino tutto si trasforma per condurlo all’età adulta. Se ciò non avvenisse uno stato mentale adolescenziale si consoliderebbe al di là dell’età cronologica. Bisogna quindi saper lasciare il certo per l’incerto. È necessario abbandonare le sicurezze infantili per costruire la propria identità. La paura durante questa metamorfosi la si vince con la fiducia che cambiare è foriero di bellezza e non di distruttività. Crescere significa saper sognare, credere nelle proprie utopie e costruire nuovi progetti. La speranza è dunque l’antidoto alla paura. Perciò guai a quella vecchia generazione che uccide il futuro dei giovani. Una società che non coltiva i sogni e le passioni dei ragazzi li condanna a star fuori a guardare il mondo rendendo la loro vita noiosa e quindi vuota. E allora i giovani senza passioni passano le ore a trovare “calmanti” per le loro inquietudini.
Tutti i ragazzi hanno infatti paura di non riuscire a realizzarsi, ma ognuno, a partire dal bagaglio che ha messo nello “zainetto” della sua esistenza negli anni precedenti, si avventura ad attraversare questo burrascoso transito identitario attrezzato in modo più o meno adeguato a fronteggiare la paura del cambiamento. Nel patrimonio personale del giovanetto allora deve esserci stato contenimento, amore, fiducia, presenza, cura così come gli adulti hanno saputo offrirgli nell’infanzia. La mente che può attingere a questi fattori protettivi, che un tempo furono esterni e che ora albergando dentro di lui sono a sua disposizione per rassicurarlo, può trovare il modo di regolarizzarsi sentendosi guidata da dentro. [1]
La paura di crescere diventa allora meno spaventosa, anzi può divenire davvero avvincente, appassionante e coinvolgente.
I ragazzi, durante questo periodo nel quale devono fronteggiare sentimenti sconosciuti e compiti inediti, sono ripetutamente assaliti dal timore di essere soli. Se si sentono abbandonati coltivano spavalderia, tracotanza e aggressività per farsi coraggio. Chi è pervaso da un terrore devastante diviene addirittura violento sia verso di sé che verso gli altri. Alcuni adolescenti, per la paura di non riuscire ad attraversare il mutamento da infante ad adulto, assumono pertanto degli atteggiamenti prepotenti e distruttivi. Il loro mondo interno è abitato da fantasmi abbandonici e mostri persecutori. Il loro agire inconsulto è l’estremo tentativo di eliminarli.
E se nell’adolescenza il corpo la fa da padrone, tanto che la mente non riesce a volte a seguirne gli impulsi e le modifiche, è proprio sul corpo che il ragazzo scarica la paura di non essere stato accolto e di non essere stato accettato.
I giovani attaccano quell’involucro di carne che non riconoscono più e dentro al quale si sentono a disagio. Lo feriscono tagliuzzandosi in modo che il malessere fisico restituisca loro il senso di un confine corporeo che, dolorante, allevia la sofferenza psichica. Attaccano il corpo anche affamandolo in modo che la paura di diventare grandi si trasformi in un non dare forme sinuose a quell’involucro che li sta tradendo andando a svilupparsi. Alcuni seppelliscono se stessi dentro a masse grasse in modo che l’essere informi cancelli ogni possibilità di avere attributi sessualmente desiderabili. I disturbi alimentari nell’adolescenza nascondono allora la paura che un giovane vive nel timore di poter diventare oggetto e soggetto di desiderio libidico. Piacere e piacersi all’adolescente pare così impossibile che evita questa verifica. Pensieri ossessivi vanno quindi ad abitare nella sua mente disturbando l’apprendimento, le relazioni, la libertà.
Alle volte la paura di diventare grandi porta gli adolescenti, a scegliere un’estrema azione: quella di far fuori quel Sé che li disorienta e li fa soffrire. È come se la mente cominciasse ad essere introspettiva e a rendersi capace di riflessioni sul senso dell’esistenza diventando la nemica da eliminare. Sopprimersi è pertanto un modo estremo per farla tacere. Quella voce insistente che dovrebbe far dialogare internamente diventa una diabolica richiesta di togliersi la vita per “risolvere tutto”. Ed è con una lucida follia che questi ragazzi fuggono dalla paura di imparare a vivere andando a rifugiarsi in un immaginario altrove che credono potrà calmare l’angoscia che li divora. Se quindi tutti i giovanetti sono terrorizzati di non piacere, di non essere apprezzabili, di non essere adeguati, di valer poco o niente alcuni non reggono questa pressione interiore che, impietosa, li giudica senza sosta e li condanna senza via di scampo. Qualche volta questa immagine svalorizzata di sé viene confermata da una scuola poco attenta alla fragilità dei suoi allievi. Spesso la disperazione nel non sentirsi amabili viene da una famiglia che adesso non riconoscendoli più li attacca pesantemente. Altre volte il primo amore conclusosi male addolora a tal punto gli adolescenti da accecare in loro ogni prospettiva futura. Il suicidio diviene dunque via di fuga alla paura dell’insuccesso, del rifiuto e dell’abbandono. Ed oggi questo sconforto pervade le nuove generazioni più di ieri visto che l’approvazione sociale viene ad assumere il primo posto tra i valori.
Piccoli spinti da madri e padri solleciti a farsi apprezzare socialmente, sia questo manifestato dall’essere invitati alle festine di compleanno o dall’essere ricercati dai compagni di classe, divengono dipendenti dall’approvazione sociale. E la paura di non ottenerla diventa ricerca spasmodica di piacere. Il look con cui presentarsi al mondo diviene “divisa” per essere ammessi nel gruppo dei pari come soggetti interessanti, speciali, ammirabili. Tutto allora è voluto in funzione del non finire nel gruppo degli sfigati. Scarpe di marca o divise monocolore, abiti firmati o vestiti sbrindellati, chiome dai colori sgargianti o creste svettanti diventano dettagli di questo manifesto vivente che è indossato per poter ottenere uno sguardo di ammirazione. La scelta spesso è orientata dal potersi riparare dentro ad una banda protettiva. Nell’essere uguale ad altri la paura individuale viene condivisa e risulta meno pressante. Il gruppo dei pari diviene dunque un involucro[2] che protegge dalla paura di essere gli unici che non stanno bene, che temono tutto e che quindi non si sentono parte dell’umanità. [continua]
[1] F. Berto, P. Scalari, Padri che amano troppo. Adolescenti prigionieri di attrazioni fatali, La meridiana, Molfetta 2009.
[2] F. Berto – P. Scalari, Mal d’amore, la meridiana Molfetta 2011
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