Questo immenso non sapere. Osservate i gigli del campo

di don Vanio Garbujo e la psicoterapeuta Ilaria Cadorin



Fra il chiarore e l’ombra 

Che i Tuoi raggi illuminino il mio cammino.  Che la Tua luce renda chiara la mia mente.  Che il Tuo calore riscaldi il mio cuore.  Che la Tua presenza mi ricordi chi sono.  Io sono. Io sono Luce, Amore e Vita. Questo è il tempo di fondare una nuova giustizia, quella del Tuo cuore. Questo è il tempo di costruire una nuova città, fatta di luce e amore.  Questo è il tempo di ascoltare chi grida e non viene sentito.  Questo è il tempo di dare come a Te è stato dato.   Questo è il tempo di amare e di essere amato,  ma, soprattutto, questo è il tempo di essere Amore, affinché ogni istante concesso sia benedetto.  Risorgi, figlio della Luce.  Porta questa luce nel mondo.  Luce della stessa Luce. Voce della stessa Voce.   Uno nell’Uno. Uno nella Pace. Uno nella Luce. 

(Daniel Lumera)

Dal vangelo secondo Luca 1,30-35

L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.  Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio.

Fra il chiarore e l’ombra. Inizio così questo nuovo percorso di Vastità, fra il chiarore e l’ombra. Come possiamo intuire, ascoltando parte del Vangelo dell’annunciazione, l’ombra non è sola oscurità, ma è Presenza misteriosa capace di fecondità. L’annunciazione ci inserisce in un solco nuovo dove l’ombra, l’esperienza dell’oscurità, ci rivela essere l’altra faccia della medaglia della Luce. Fra il chiarore e l’ombra camminiamo ogni giorno, così Maria nel suo peregrinare ha incontrato l’Angelo Gabriele, Luce, che nell’esperienza dell’ombra di Dio, oscurità, fa accadere qualcosa di nuovo: Maria concepisce un figlio, una nuova vita comincia a muoversi in lei e da quel momento nulla sarà più come prima. Ma attenzione non perché quel bambino era Dio, ma graziosamente perché quando è concepito un figlio e quando nasce, il mondo intero è trasfigurato, esso cambia e non sarà più come prima. Infatti, con il figlio, non viene al mondo solo un altro essere umano, ma insieme a questo essere umano, il mondo non è più lo stesso. Il mondo di prima è sì lo stesso, lo percepiamo uguale a prima, ma non è più come prima. È lo stesso ed è tutto nuovo. Questo è il miracolo dell’amore. Fra il chiarore e l’ombra, nella luce e nelle tenebre di ogni giorno, sempre è possibile concepire qualcosa di nuovo, che non cambia solo se stessi, ma ha pure l’audacia di trasformare chi ci sta attorno e il mondo intero.  Allora fra il chiarore e l’ombra, tra le luci e le tenebre delle vite personalissime di ciascuno di noi, ci incamminiamo, ora, su campi di gigli in fiore in ascolto di parole che desiderano fecondare la nostra vita. 

Quando il silenzio di Ilaria Cadorin

Prima di continuare la lettura prenditi due minuti di silenzio… Ho voluto lasciarci in contatto con questi pochissimi minuti di silenzio… ma sono stati davvero di “SILENZIO”…? Forse per alcuni sì… e forse per altri, invece, si sono riempiti di pensieri, di preoccupazioni o domande rispetto alla serata stessa… 

“A che ore si comincia?” – ”Rischiamo di far tardi!”… 

“Chissà se stasera sarà interessante tanto quanto i precedenti incontri”

… oppure può essere che i pensieri abbiano parlato della vostra quotidianità, della vostra giornata appena passata o di quella che dovrete affrontare domani o addirittura di tutta la settimana che si è aperta con questo lunedì…

…ma può anche essere che la vostra mente si sia predisposta in uno dialogo interno di “preghiera”, di riflessione sulle parole ascoltate da don Vanio. 

Ecco, qualunque sia il tipo di parola o di pensiero avuto in questi minuti di silenzio… la mente non è davvero stata in SILENZIO. 

Non solo ha lavorato tantissimo, ma lo ha fatto stando 

–          nel passato (nelle nostre rimuginazioni su cose successe prima di questo momento), 

–          nel futuro (il nostro pre-occuparci del domani, quindi occuparci prima di qualcosa che ora non esiste) 

–          e nel giudizio rispetto al presente. 

E forse, allora, non siete stati qui, durante quel silenzio…. Ma eravate ALTROVE…

Qualcuno potrebbe pensare che, è vero, forse con la mente non eravate qui ma almeno il corpo quello sì che c’era! E invece mi domando se davvero voi foste qui NEL vostro corpo, in contatto con le vostre sensazioni fisiche, con le vostre percezioni corporee… Spesso riteniamo il corpo una sorta di scatola vuota, un contenitore che ci serve per trasportare “ciò che davvero conta”, ovvero la nostra mente quando invece sappiamo che è il nostro tempio sacro di cui probabilmente dovremmo avere tutti un po’ più cura. Insomma, noi pensiamo, pensiamo sempre, e pensiamo così da tanto da esserci abituati ad associare il nostro esistere con i nostri pensieri.  “Noi siamo i nostri pensieri”….”cogito ergo sum”: penso quindi sono, diceva Cartesio.

… che danno enorme ci ha fatto questo assunto preso come verità.

Quando noi pensiamo NON stiamo semplicemente facendo esperienza delle cose che stiamo vivendo, ma le stiamo definendo. In altre partole, appiccichiamo sopra le cose un’etichetta per definire noi e la nostra esperienza della vita. Questo è un processo naturale e fondamentale ai fini di un’economia mentale, ovvero di risparmiare una quota importante di energie. Provate a pensare, se io non attribuissi alle penne l’etichetta/il giudizio “con il tappo” o “a click”, ogni volta che mi trovo di fronte a una penna dovrei perdere tempo ed energie per capire cosa fare per poter scrivere. Questo processo è quindi indispensabile per noi, peccato però che nello scorrere della vita nessuno ci ha insegnato che non è l’unico processo importante. Anzi, rischia di diventare addirittura dannoso in moltissimi casi. Provate a pensare a quanto velocemente definiamo le persone attorno a noi, ancora prima di conoscerle! Solo per il colore della pelle, per esempio. O per l’abbigliamento. O la religione. O, adesso, se è vax o no-vax, pro-Putin o pro-Zelensky. Pensate a quanto è rapida la nostra capacità di crearci un giudizio incontestabile, solo per aver letto qualche titolo di giornale o qualche post sui social… la nostra mente arriva tagliente come una lama nel definire cosa è vero per noi. E poi abbiamo un bel problema, ovvero che la nostra mente adora avere ragione. Non sopporta avere torto e infatti, a quanti è capitato di essersi creati un’idea sbagliata e di fare una fatica pazzesca nel riconoscerne l’errore e ricostruirne una nuova.Tutto questo giudizio, sfortunatamente, è prima di tutto usato su di noi, verso noi stessi diventando un bisturi pericolosissimo che può salvarci la vita oppure farci morire, dentro i nostri pensieri e giudizi nocivi limitanti. Giudichiamo, ci preoccupiamo, ci angosciamo per le cose della vita perdendo completamente il contatto con il presente, con il qui-e-ora, l’unico tempo che davvero esiste e che davvero vale la pena di essere ascoltato, respirato, anche quando ci sembra troppo difficile da accettare. Perché a volte è proprio il presente ad angosciarci, ad affannarci, ma è esattamente stando e imparando a stare nelle nostre tenebre, in quell’ombra, parola molto cara a Jung, che può accadere qualcosa di meraviglioso e realmente trasformativo.  Ma per fare questo noi, dobbiamo rimanere qui, abitare il nostro presente, anche doloroso.  Prima di lasciare la parola a don Vanio, voglio leggervi una pagina del diario che lo scorso anno ho scritto durante la malattia di mio papà. Chi mi conosce sa che il covid ci ha colpiti duramente. Ai momenti in cui sicuramente anche io, umanamente, mi sono lasciata sprofondare nell’angoscia e nel terrore della perdita, ce ne sono stati tantissimi altri in cui corpo e mente erano, nonostante tutto, lì in quello che all’epoca era il mio presente.

Diario

9 giugno 2021, inizio della 12a settimana di Terapia Intensiva. 

Per godermi tranquillamente la visita da te, senza la fretta di incastrarla tra un impegno e l’altro, non avevo fissato alcun appuntamento per oggi. Dopo il colloquio con i medici, sono arrivata da te attraversando quel corridoio perimetrale decisamente caldo e afoso. Mentre camminavamo, l’infermiera ha commentato l’arrivo tanto atteso dell’estate e le giornate “da mare”, quando al contrario la mia mente stava pensando che non sono pronta per questa estate, non è “estate” la nostra.  Ai tuoi sorrisi iniziali sono seguiti minuti in cui il dolore e il fastidio fisici non ti davano tregua. Allora ho preso una seggiola e mi sono seduta vicino a te: il mento appoggiato sulla sponda del letto, con una mano ti accarezzavo la testa e tu, che eri messo di fianco, hai alzato l’avambraccio per accarezzarmi il viso con il dorso della tua mano.  Che quella carezza mi abbia emozionata lo hai visto! È difficilissimo nascondere le emozioni quando si è da te e se cerco sempre di farlo, quando a prendere il sopravvento erano o sono la paura, l’angoscia e il terrore di perderti, mi permetto assolutamente di esprimerle quando le emozioni sono quelle belle, della gioia, del sollievo nel vedere che sei più attivo e coinvolto.  Chiudendo un po’ gli occhi hai cercato di allontanare il dolore lasciandoti andare ad un riposo che fosse davvero momento di tregua…. e ci sei riuscito.  Nel silenzio della T.I. sono rimasta lì, con il mento sulla spondina, ti accarezzavo la mano, ti ammiravo riposare tranquillo… Ad un certo punto ho guardato davanti a me, ai finestroni della T.I.: il sole delle 14.00 di questa calda giornata di giugno, le fronde degli alberi mosse da un filo di vento, gli scuri delle case che danno sull’ospedale, socchiusi per mantenere il fresco in casa.  Sai cosa ho pensato papà? Che sono fortunata. Che sono qui, con te, e tu sei qui con noi. Che questa è la nostra estate e sarà indimenticabile perché ci hai permesso di rivalutare tutto e ridefinire le priorità. Ora per noi contano le persone, le relazioni, conti tu, sopra tutto. Grazie che stai stringendo i denti per rimanere qui papà Bruno, pur continuando ad affrontare a testa alta i più grandi dolori.

Tu oggi sei stato il mio mare. E non vedo l’ora di ritornarci.  

Non preoccupatevi, non affannatevi

Dal Vangelo secondo Matteo 6,25-34

Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete,  né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?  Guardate gli uccelli del cielo:  non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro?  E chi di voi, per quanto si preoccupi,  può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate?  Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.  Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voigente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo?  Che cosa indosseremo?». Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

Vie per l’ascolto senza temere la parola fine

Gesù stupisce sempre perché quando deve annunciare un messaggio importante parla sempre in parabole, prendendo in prestito la natura come via maestra di guarigione dello spirito e del corpo. Osservando la natura e la vita ordinaria, Gesù educa e ci educa a vivere in pienezza la propria vita senza temere la parola fine: la fine di un amore, la fine di una relazione, la fine di un lavoro, la fine di un progetto, la fine di un cantiere, la fine di opera d’arte, la fine di una amicizia, la fine di un contratto, la fine della vita, della mia vita. Gesù sceglieva di non usare parole difficili per impressionare gli ascoltatori.  Egli richiamava l’attenzione di tutti parlando della vita concreta, raccontando la vita per risvegliare chi lo ascoltava per condividere la bellezza di essere vivi. Nel vangelo di oggi Gesù risveglia il cuore dell’uomo attraverso la il cibo, il vestito, gli uccelli del cielo, il giglio del campo. Ma c’è immediatamente un ostacolo a questo risveglio: la preoccupazione. Ostacolo che impedisce all’occhio di vedere chiaramente, al cuore di sentire e all’orecchio di ascoltare veramente e liberamente. La pre-occupazione è caratteristica tipica dell’uomo e non appartiene al modo vegetale e animale, perché solo l’uomo si pre-occupa di quello che potrebbe accadergli, ma soprattutto tende ad agire in anticipo rispetto al presente. Non a caso la parola preoccupare è ripetuta sei volte nel brano biblico ascoltato. Ritorna il numero sei, numero dell’imperfezione, della mancanza, del non essere Dio. Numero che rivela un vuoto da colmare, un’ombra da accorciare, un’oscurità da illuminare, un silenzio da ascoltare, un grido da consolare, una domanda a cui rispondere. 

Non preoccupatevi. Etimologia e significato Preoccupare dal lat. praeoccupare «occupare prima, prevenire», occupare in precedenza, prima di altri, un luogo, una carica, una funzione, ecc. In senso figurato predisporre una persona a un determinato convincimento o atteggiamento, condizionarne il modo di pensare e di agire. Ancora, mettere, tenere in preoccupazione, cioè in uno stato di inquietudine, di ansia, incertezza, timore.: è questo che mi preoccupa; il suo stato di salute comincia a preoccuparmi. Essere in uno stato di apprensione, di ansia: mi preoccupo del mio/tuo avvenire; è un tipo ansioso che si preoccupa per un nonnulla. Con valore “addolcito”: darsi pensiero, mostrare cura e sollecitudine per un motivo o per un fine.

Non affannatevi. Significato. In greco questa parola significa dividere, far le parti, smembrare; fra l’altro la stessa radice, in greco: moira, che significa sorte ma anche morte, la nostra morte ha la stessa radice, significa anche memoria. L’affanno è vivere anticipatamente la morte. È l’ansia di vita che è dettata dalla paura della morte. Hai paura che ti venga meno e allora accumuli, ti assicuri qualcosa, ti riempi per non pensare. Alla lunga poi diventa ansia di vivere. La vita, nei peggiori dei casi, rischia di essere divisa, lacerata, tesa. 

L’uomo ha bisogno di vita. Un inganno: l’accumulo.L’uomo ha bisogno di vita, perché ha paura di morire, allora pensa di garantirsi la vita accumulando i beni. Nella nostra epoca comprendiamo abbastanza bene che cosa è l’affanno, con tutto ciò che comporta. Proviamo a pensare alcune scene del nostro tempo, la corsa ai supermercati, gli scaffali vuoti, la paura, fare scorte, accumulare. 

Quanta paura! E l’espetto terribile che emerge? L’affanno e la preoccupazione ci portano a non vedere più gli altri, o quel che è peggio, l’altro diventa mio nemico tanto da dover essere educati alla convivenza da dei bigliettini: al massimo si possono prendere due bottiglie per famiglia di olio di semi. Una sconfitta dell’umano vivere. Gli affanni della vita ci concentrano su noi stessi, allontanandoci dagli altri e paradossalmente ci orientano verso il futuro, distogliendoci dal presente. 

Ansia, paura, affanno, pre-occupazione ci impediscono di vedere e di osservare. Nessun risveglio, nessuna meraviglia, nessun stupore. Nessuna preoccupazione porta in sé qualcosa di buono e queste ci impediscono di godere la vita e questo perché? Perchè siamo occupati di altro. Il nostro cuore e la nostra vita sono occupati di altre cose. In fondo pre-occuparsi significa proprio questo: essere occupati prima. La propria casa è non abitata ma sovraffollata da pensieri nocivi e da presenza ostili.

Che cosa ci occupa? Che cosa abita la mia casa? Di Ilaria Cadorin

Abbiamo riflettuto prima su quanto la nostra mente sia continuamente abitata dai nostri pensieri, pensieri preoccupati, agitati, tormentati. Ai miei pazienti faccio spesso l’esempio della “zebra”, tratto da un libro del neurobiologo Sapolsky che si intitola “Perché alle zebre non viene l’ulcera?”. Proviamo a pensare: che cosa può succedere ad una zebra quando percepisce un pericolo come, ad esempio, un leone in avvicinamento?  Negli animali si attiva immediatamente la reazione di “attacco-fuga”: in questo caso il cervello della zebra percepisce un pericolo e innesca tutta una serie di reazioni che servono per attaccare il leone o per fuggire da lui scappando il più velocemente possibile in modo da assicurarsi la sopravvivenza. 

Per fare questo, che si tratti di attaccare o di scappare, l’organismo della zebra si mette in moto: la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e il ritmo del respiro aumentano così da portare più ossigeno ed energia ai muscoli che devono essere attivati per attaccare. Tutti i processi che in quel preciso momento non servono vengono bloccati, ad esempio digestione. Infatti, nel momento in cui la zebra deve attaccare o scappare il corpo non può occuparsi della digestione. 

Quando la zebra si mette in salvo dal leone, il sistema di allarme cessa di lampeggiare, la zebra si rilassa subito e torna esattamente alla situazione di quiete di partenza.  Proviamo ora ad immaginare se al posto della zebra ci fossimo noi. Mentre mangiamo l’erba, conoscendoci, noi non riusciremmo a stare con la mente lì, sull’erba e su quanto ci stiamo godendo quel momento di pace e tranquillità, ma probabilmente staremo pensando: “Oddio, chissà se oggi arriveranno dei leoni… mi sembra di aver scelto un posto sufficientemente al sicuro ma quel mio amico mi ha detto che anche qui si sono visti dei leoni… e quindi forse ha ragione lui… dovrei già cambiare luogo… però ho fame… quanta fame che ho… erano giorni che non trovavo dell’erbetta così buona e gustosa… mi ricordo quando da piccola c’era un’erba che aveva tutto un altro sapore… begli anni quelli…però adesso vedi, non solo l’erba è meno saporita, forse è il fatto che piove troppo poco, ma non posso nemmeno mangiare tranquilla perché qui è pieno di leoni….”

…E mentre noi siamo immersi nei nostri pensieri e nelle nostre preoccupazioni…  il leone non è nemmeno nei paraggi.

Ovviamente noi non possiamo pensare di comportarci realmente come la zebra per il semplice fatto che il nostro cervello è molto più evoluto di quello della zebra, a partire dalla presenza della regione della corteccia prefrontale nella quale risiedono i nostri processi cognitivi, la nostra capacità di autocoscienza, ed è grazie alla presenza di questa parte del cervello che tutti noi possiamo scegliere se e come vogliamo reagire alla maggior parte dei segnali ambientali.

Succede però che tutta questa tensione e iper-attivazione interna con la quale viviamo la maggior parte della nostra quotidianità, ci porti spesso a vivere in uno stato di stress e di ansia. Ansia e stress non sono sinonimi. Lo STRESS definisce la nostra condizione psicofisica quando la situazione che stiamo vivendo ci richiede di andare oltre la nostra zona di confort, oltre ciò che siamo abituati a fare e a reggere. L’ANSIA invece è una reazione psicologica e fisica all’interpretazione e valutazione di ciò che stiamo vivendo ora o che vivremo nel futuro. 

Ad esempio, posso essere stressata perché lavoro troppo, ma non per forza essere in ansia. Al contrario, posso essere in un chioschetto a Jesolo con il mio spritz, non essere sotto stress ma essere in ansia perché la persona accanto a me continua a tossire e starnutire e sono preoccupata che abbia il covid e mi contagi.

È interessante come il termine “ansia” derivi dal verbo latino angere che significa “comprimere”, “stringere” e che rimanda proprio alla sensazione di oppressione che spesso viene vissuta quando si è in stato di ansia.

Che io sia in ansia o sotto stress, il nostro corpo e il nostro cervello devono attivarsi per reggere di fronte a queste situazioni di tensione. Nel DSM-5, il manuale di riferimento per medici, psichiatri e psicoterapeuti, tra i sintomi per definire se si vive o meno in uno stato ansioso ci sono:

•          palpitazioni o battito cardiaco accelerato;

•          sudorazione;

•          difficoltà a respirare;

•          irrequietezza

•          dolore o fastidio al torace;

•          nausea o dolore addominale 

•          sensazione di instabilità

•          sensazione di perdere il controllo, di “impazzire” 

•          sensazioni di intorpidimento o formicolio;

•          tensione o dolori muscolari

•          nervosismo;

•          sensazione di nodo alla gola o difficoltà a deglutire

Ci aggiungiamo anche:

•          la tendenza a rispondere in maniera esagerata ed amplificata alle varie situazioni della vita;

•          difficoltà di concentrazione a causa della preoccupazione o dell’ansia;

•          irritabilità persistente; 

•          difficoltà ad addormentarsi a causa della preoccupazione

Chissà se ascoltando questi segnali del corpo vi siete detti “ce l’ho”, “non ce l’ho”, “ce l’ho”… 

Ho scelto di riportarveli per farvi capire quanto lo stato mentale di preoccupazione e ansia, possa incidere sul nostro stato di salute e benessere, alterando completamente il nostro modo di vivere e rendendo tutto estremamente pesante e faticoso.

Quando lo stato di stress e ansia è intenso e persistente nel tempo, rischia di diventare un grande limite e impedimento al nostro vivere quotidiano ed è in questi casi che risulta fondamentale non arrendersi di fronte alle proprie fatiche ma scoprire come affrontarle, ad esempio valutando un percorso psicoterapico. Infatti, con questa mente che lavora sempre rischiamo davvero di ammalarci. I disturbi cosiddetti psicosomatici, derivano proprio da questo: sto parlando di gastriti, coliti, dei mal di testa, dei dolori cervicali e muscolari, delle tachicardie, dell’ipertensione, delle dermatici…e potrei andare avanti nella lista ancora per molto. Non tutti i nostri problemi, ovviamente, derivano da questo.  Sarei scorretta se facessi di tutta l’erba un fascio. Però è fuori discussione che l’imparare a fermarci e a riconoscerci nel momento presente sia la chiave migliore per guadagnarne in consapevolezza e pienezza di vita.

Infatti quello che spesso succede è che si cerca di mettere i problemi sotto al tappeto, di distogliere l’attenzione dalle difficoltà spostandola in surrogati di benessere, o proprio cambiando situazione (cambio partner, quando la relazione comincia a scricchiolare; cambio lavoro quando sento di essere sovraccaricato; o, banalmente, rinvio l’esame universitario o un qualsiasi impegno o responsabilità che mi possa mettere in difficoltà).

Il cambiamento esterno a volte è necessario e sanissimo ma non può essere la prima opzione. Infatti, così facendo si rischierebbe di funzionare con l’unica prospettiva del “c’è un problema, lo scanso”, con il contraccolpo poi di ritrovarci dentro un circolo vizioso di problemi e tentativi di fuga… 

Se questo processo ci fa rimanere impigliati nelle nostro solite dinamiche, l’unico modo per uscire da questa ruota “della sfortuna” è fermarci ed entrare completamente dentro al problema, dentro la nostra situazione, per quanto possa sembrare frustrante, scoraggiante e senza via di uscita. Ci dobbiamo entrare completamente. È questa il nostro qui-e-ora. È dentro di noi, in questo preciso momento, che dobbiamo trovare le strategie per fronteggiare i nostri problemi senza scappare continuamente, ma affrontando le nostre sfide per venirne fuori trasformati e migliorati.

E allora fermiamoci.

E cominciamo a guardare…

A osservare… 

ad ascoltare…

Guardate gli uccelli del cielo, osservate i gigli del campo

Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre.  E chi di voi, per quanto si preoccupi,  può allungare anche di poco la propria vita?  E per il vestito, perché vi preoccupate?  Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano.

Alla scuola dei gigli del campo

Gli uccelli del cielo, i gigli nel campo, l’erba sono la medicina contro l’ansia. Essi vivono in pace, senza preoccupazioni. Essi ci insegnano a occupare il presente e compiere nel presente il lavoro per cui sono stati creati. Certamente non vivono privi di difficoltà e imprevisti. Gesù lo dice: l’erba e i gigli sono vivi oggi, ma domani potrebbero essere gettati nel fuoco, ma essi di questi non si pre-occupano, al massimo si occupano di compiere la propria missione. Essi si ben-occupano.

I gigli del campo ci insegnano che c’è un tempo ineluttabile che è il tempo presente. Le pre-occupazioni, che sono inevitabili, non possono diventare il motore della vita dell’uomo. Gesù non condanna la pianificazione della propria vita, il progettare, l’assicurarsi qualcosa per un benessere spirituale ed esistenziale, ma queste realtà non possono essere totalizzanti a tal punto da perdere il momento presente dimenticando che è il presente il tempo decisivo, il tempo favorevole. Certo, ogni momento possiede la propria pienezza e insieme il proprio limite. 

Cibo e vestito

Vivere privi di pre-occupazioni forse è impossibile, ma i gigli, l’erba, gli uccelli ci ricordano che la bellezza sta nell’oggi e che dell’oggi ci si deve occupare e ben-occupare. La differenza con il mondo animale è che per noi il cibo e il vestito è frutto di lavoro. L’animale nasce già vestito e il cibo lo trova. L’uomo, invece, deve occuparsi per produrre, ma, attenzione, un conto è occuparsi e un conto è pre-occuparsi, e trasformare il vestito e il cibo come unico senso della vita. La vita è ben oltre! Ha un senso molto più ampio del semplice cibo e vestito. 

E chi di voi può allungare anche di poco la propria vita? 

La traduzione letterale sarebbe questa: E chi di voi può aumentare un cubito alla sua statura? Questa parola in greco, cubito, può indicare una spanna alla vita, cioè una spanna di tempo, oppure una spanna alla statura. Se tu ti preoccupi, certamente non allunghi la tua statura. La persona preoccupata si rannicchia, diventa più piccola. Le pre-occupazioni ci fanno guardare al nostro ombelico e non si incrociano più gli occhi degli altri. Chi si occupa invece del proprio presente, costruisce il proprio futuro, mette in ordine il passato e ha occhi capaci di vedere l’altro. Non a caso l’atteggiamento che cura la preoccupazione è il prendersi cura di sé e degli altri, ossia ben-occuparci.

Guardate. Osservate – dice Gesù

Osservare e guardare: due verbi che ci indicano un ottimo esercizio per curare le pre-occupazioni e vivere in pienezza il tempo presente. Essere uomini e donne capaci di guardare e osservare. Allenarci a cogliere la bellezza del tempo presente. Essere capaci di meraviglia e stupore e, quindi, di ringraziamento e umiltà. 

Gesù vive e sceglie questi verbi come stile di vita, come via Maestra nell’approccio al reale. Lui ci provoca a chiederci – con questo brano evangelico – se siamo ancora capaci di osservare, di riempirci gli occhi di mondo. Passare davanti a universi di bellezza ogni giorno e riconoscerla. Ininterrottamente presi dai propri affanni, dalle fatiche, dai progetti e dalle proprie manie. Osservare la vita, guardare dentro, oltre, in profondità… C’è un universo di bellezza, un oceano di meraviglia nel quale tuffarsi. Gesù preferiva camminare, osservare, guardare: la donna che impasta con una misura di lievito e la bellezza della luce, il semplice e forte sapore del sale e il male provocato da uno schiaffo, il chicco di grano che marcisce nella terra e il sole che sorge sui buoni e pure sui cattivi, la pioggia che cade e una donna che piange, un uomo che prega nascosto in una stanza e un altro ritto in una piazza, gli uccelli in cielo e i gigli nei campi e via di questo passo… Osserva, guarda, cammina, apre gli occhi e spalanca il cuore e respira. Respira la vita che incontra amandola, facendola propria, prendendosene cura!

Per questi due verbi condivido un testo di Chandra Candiani tratto dal libro Questo immenso non sapere: Una buona pratica preliminare di qualunque altra è la pratica della meraviglia. Esercitarsi a non sapere e a meravigliarsi. Guardarsi attorno e lasciar andare il concetto di albero, strada, casa, mare e guardare con sguardo che ignora il risaputo. Esercitare la meraviglia cura il cuore malato che ha potuto esercitare solo la paura.

La sfida del restare

Sapete chi sarebbero i veri maestri di “meraviglia”? I bambini. Non ho detto “che i bambini sono i veri maestri di meraviglia perché a un certo punto, a volte troppo presto, questi smettono di meravigliarsi e richiedono sempre di più e qualcosa di sempre diverso. Questo è il riflesso dei moltissimi stimoli a cui vengono sottoposti, spesso legati al virtuale e all’essere sommersi di cose, oggetti ed esperienze, come tentativo degli adulti di riempire le proprie mancanze. Se i bambini vivono questo è perché in primis sono gli adulti ad aver perso la capacità di fermarsi e meravigliarsi.  Il più delle volte, infatti, viviamo la nostra vita lasciando inserito il pilota automatico: camminiamo, mangiamo, lavoriamo, guardiamo la televisione, studiamo, andiamo a messa, ascoltiamo il coniuge, parliamo con il figlio… agiamo e facciamo “cose”, senza esserci davvero, senza essere realmente presenti.  Ad esempio, a quanti è capitato di fare più cose contemporaneamente, o di parlare con qualcuno e pensare alle risposte da dare o alle cose da dire piuttosto che stare in ascolto dell’altro. Oppure a quanti succede di essere in un luogo, ad esempio a lavoro, e pensare di voler essere da un’altra parte, oppure di spostarvi in macchina da un luogo ad un altro e ritrovarvi arrivati alla destinazione senza aver prestato particolare attenzione al tragitto. 

Questi sono tutti esempi concretissimi di come la nostra mente non sia qui ma si trovi altrove, lontana da questo momento presente.  E con il pilota automatico inserito, noi non ci meravigliamo più di niente.  Ora finalmente, allineati alle parole del Vangelo di cui ci siamo messi in ascolto oggi, arriviamo al cuore della questione. Come facciamo a stare nel momento presente? Come possiamo disinserire quel pilota automatico? Come possiamo vivere questo unico spazio-tempo che ci è stato donato? 

È qui che noi esistiamo. È il presente che dovremmo dimorare, adesso…. di quello che succederà fra un secondo non abbiamo nessuna certezza.

Riconoscere che noi NON siamo i nostri pensieri è fondamentale perché ci permette di percepirci come osservatori di quei pensieri scoprendo che c’è così tanto, oltre al pensiero, e che le cose veramente importanti, come l’amore, la bellezza, la gioia, la pace, nascono proprio al di là della mente.

Per diventare osservatori dei nostri pensieri e di tutto quell’oltre, dobbiamo fermarci. E quando noi impariamo a rallentare il ritmo della mente e a togliere il pilota automatico, noi stiamo meditando. Nell’incontro precedente si è accennato ai rischi di ridurre la meditazione a uno dei prodotti in vendita nel mercato del benessere e delle strategie per l’introspezione, con il rischio di credere di meditare, o credere di pregare, quando invece la mente è altrove.

Al contrario, la meditazione autentica, può essere estremamente trasformativa e persino curativa, come confermano i numerosissimi studi promossi dalle più varie università nel mondo.  A esempio si è dimostrato in chi medita maggiori difese contro lo stress, le malattie croniche e l’invecchiamento precoce; un’aumentata capacità di gestire le emozioni, una migliore percezione di sé, e quindi maggiore autostima, una riduzione della percezione del dolore e un miglioramento negli stati di depressione e ansia. Oltre a questo, si è visto che anche solo pochi minuti di meditazione al giorno portano a percepire una maggiore connessione sociale e un senso di positività, compassione e apertura verso il prossimo.  Tutti questi benefici semplicemente meditando. 

Ma cos’è la meditazione? 

Spesso la non conoscenza della materia ci porta a fare delle considerazioni errate, ad esempio quella per cui la meditazione è qualcosa di new-age o esoterico. 

Vediamo cosa NON è meditare: 

–          Meditare non è pregare;

–          Non è “assenza di pensieri”;

–          Non è un luogo “mistico” nel quale far andare la nostra mente;

–          Non è nemmeno riflettere, per quanto l’etimologia della parola meditare ci porti proprio a questo significato. Spesso infatti, si usa il termine meditare in frasi come “Devo meditarci sopra”, “Ho meditato a lungo su quella proposta”, e quindi viene utilizzato come sinonimo di pensare con la nostra mente razionale. 

Ma la meditazione non è niente di tutto questo. Per quanto esistano tipologie diverse di meditazione si può intravedere in tutte un aspetto comune, ovvero lo stato di la consapevolezza. Meditare quindi significa essere consapevoli. E noi siamo consapevoli quando prestiamo attenzione al momento presente in maniera intenzionale e non giudicante. 

Per non giudicare né i nostri pensieri, né le nostre sensazioni, né le emozioni che proviamo, ma riuscire ad essere osservatori curiosi e attenti di tutto ciò che avviene dentro di noi, abbiamo bisogno di coltivare un’attitudine preziosissima: l’ACCETTAZIONE. 

Accettazione di cosa? Non solo di ciò che c’è, ora, ovvero del mio presente, a volte sereno e leggero e molte altre volte, faticoso e doloroso. Nella meditazione l’accettazione che io sperimento è prima di tutto nei confronti di me stesso, di me stessa: accetto chi sono io, ora. Accetto come sono io, ora. Quando sperimento questo, io mi sto accogliendo e riconoscendo nel mio valore più profondo, nella pienezza della mia dignità di essere umano. Unico. Prezioso. Perfettamente imperfetto. In continua evoluzione, crescita, cambiamento.

Accettarsi significa amarsi da subito, nel presente, che è l’unico momento che abbiamo a nostra disposizione. Ed è proprio amandoci e coltivando l’accettazione, che riusciamo a creare le condizioni preliminari per la trasformazione, perché ogni cambiamento passa attraverso l’accettazione di noi, così come siamo, nel qui e ora.

Detto ciò… siccome la meditazione non è una cosa che si “fa”, ma uno stato in cui si sta, non voglio andare oltre in spiegazioni che rischiano di riempirvi ulteriormente la mente e preferisco accompagnarvi ora in una breve esperienza di ascolto di voi, nel qui-e-ora.

Partendo però dal presupposto che la nostra mente ha bisogno di avere tutto sotto controllo, ancor di più quando ci accingiamo a fare qualcosa di nuovo, faccio una rapidissima premessa: nei minuti di meditazione voi sarete completamente vigili e presenti. Vi chiederò di chiudere gli occhi ma, se ne sentirete il bisogno, sarete liberi di aprirli in qualsiasi momento. Parlerò a voi in seconda persona singolare, rivolgendomi quindi a ognuno di voi con il “tu”. 

Dopo qualche minuto di meditazione ci sarà un breve tempo in silenzio in cui don Vanio si inserirà. Vi suggerisco, in quel momento, di rimanere in contatto con voi, con gli occhi chiusi. Tornerò poi io a guidarvi con la mia voce per accompagnarvi nella fase di ripresa e contatto pieno con il momento presente.

Ora, ti chiedo di mettere entrambi i piedi a terra, non accavallando le gambe, se ti è possibile e se questa posizione ti consente di sentirti comunque a tuo agio. Siediti in una posizione comoda, cercando di mantenere la schiena dritta, senza irrigidirti.

Mentre ti assesti su questa posizione, lentamente puoi chiudere gli occhi. 

Porta la tua attenzione al tuo respiro….

Non devi cercare di controllarlo e nemmeno di modificarlo…. 

Puoi semplicemente sentirlo scorrere.  …attimo dopo attimo… Osserva l’aria che entra e che esce dal tuo corpo. Cerca di seguire il flusso del tuo respiro, senza forzare nulla.  Senza modificare nulla. Devi solo sentire il tuo respiro… 

Ci sono vari punti del corpo in cui puoi osservare il tuo respiro: le narici….  il torace… la pancia…  Osserva ora il tuo respiro nelle narici…. senti l’aria che entra fresca dalle narici e che da queste esce riscaldata…  Osserva ora il tuo respiro nel torace… percepisci il movimento del torace, la sua espansione quando l’aria entra e la sua contrazione quando l’aria viene espulsa….

Osserva ora il respiro nel tuo addome: ascolta la pancia che si gonfia e si sgonfia… Momento dopo momento…

Mantieni l’attenzione sul respiro, sulla tua consapevolezza del respiro.

Non devi “pensare” al respiro, devi semplicemente sentirlo.

La capacità di stare in ascolto di te è necessaria per diventare consapevole della maestà e sacralità del tuo essere qui, ora, in questo preciso spazio e tempo.

Ricordati che essere consapevole del respiro significa semplicemente fare attenzione. Non devi forzare il respiro in alcun modo ma cercare di restare consapevole delle sensazioni che ogni inspirazione ed espirazione producono in te, e seguirle nei loro cambiamenti. 

Se ti accorgi che la mente vaga e si è allontanata dal respiro, nota dove è andata, osserva cosa l’ha distratta e poi, delicatamente, riporta l’attenzione al punto del corpo dove stai osservando il respiro e alla sensazione di quest’ultimo che entra e che esce.  Cerca di essere interessato e curioso verso le peculiarità̀ di ogni tuo respiro e di tutto ciò che si affaccia alla tua coscienza. 

Ogni volta che la tua mente si allontana, il tuo compito è sempre lo stesso: dopo aver osservato cosa l’ha distratta, riportala con gentilezza e pazienza al tuo respiro. 

La tua mente se ne va, e tu la riporti con delicatezza all’osservazione del respiro. 

Mille volte, con calma.. Quando la tua mente vaga, prova ad accogliere benevolmente tutto ciò̀ che noti. Dopodiché́ lascia andare l’oggetto che ha catturato la tua mente, e riporta la tua attenzione nuovamente al respiro. Con fermezza e con gentilezza.

Continua a restare in contatto con l’aria che entra nel tuo corpo e che esce, che entra e che esce, momento dopo momento. Resta con il tuo respiro, consapevolmente, con ciascuna inspirazione per tutta la sua durata, e con ciascuna espirazione, per tutta la sua durata… Inspira… ed espira…. Inspira… ed espira, come se cavalcassi le onde del tuo respiro… che salgono… e scendono….

E in questo silenzio, in contatto pieno con il tuo respiro e il tuo corpo… lascia risuonare in te queste parole…

Perché tu sei prezioso ai miei occhi,  perché sei degno di stima e io ti amo.  Isaia 43,4

Dio mi ha detto: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Salmo 2, 7

Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?  Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato. Sal 8, 5-6

Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda; sono stupende le tue opere,  tu mi conosci fino in fondo. Sal 139, 14

Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra.  Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi. Sal 139, 15-16

È troppo poco che tu sia mio servo. Io ti renderò luce. Is 49, 6b

 Ed ecco oggi io faccio di te come una fortezza,  come un muro di bronzo. Ger 1,18b

Non abbiate dunque paura voi valete più di molti passeri!  Mt 10,31

Quando ti senti pronto, quando ti senti pronta, preparati a portare a termine la nostra meditazione consapevole del respiro.  Con calma, solo quando senti che è giunto il momento, inizia a percepire nuovamente il tuo corpo nella posizione seduta. Piano piano, senti i punti di contatto… i piedi in contatto con il pavimento… le cosce, i glutei e la schiena in contatto con il banco o la sedia. Lentamente ora riprendi contatto con l’energia del tuo corpo. Inizia un po’ i piedi… le mani… ruota lentamente la testa da un lato e poi dall’altro… e ora puoi aprire gli occhi.

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