Erica Boschiero. L’intervista

Prima di leggere l’intervista a Erica vi invito ad ascoltare la canzone che da il titolo al suo nuovo album: Respira.

Che cos’è per te l’Arte e essere al servizio dell’Arte attraverso la musica e la scrittura? 

E’ una domanda impegnativa… Credo che l’Arte sia accedere ad un mondo altro, che tutti portiamo dentro e che è specchio di ciò che ci circonda e sovrasta: intuirne la potenza, le provocazioni, la drammaticità, il mistero, la bellezza. Significa aprirsi a ciò che non possiamo né spiegare né capire, rendersi disponibili ad essere attraversati da tutto questo, a trasformarlo con i mezzi che ciascuno di noi ha a disposizione: la musica, l’arte figurativa, la parola, la danza, e le mille altre forme d’arte e non solo. A volte ho la sensazione che non sia io ad usare e creare la melodia e le parole, ma siano esse ad usare me, a venirmi a trovare e ad aver bisogno di me (e di chi come me) per manifestarsi. Mi chiedo spesso cosa accadrebbe se in quel momento non fossi pronta ad acchiapparle, se fossi intenta a fare altro. Temo sia successo spesso…  chissà se poi ritornano, o se invece sono perse per sempre…

Come avviene il processo creativo? 

Tutto comincia da qualcosa che ti si muove dentro, quella che comunemente chiamiamo emozione. Può essere mossa dalle cose più varie: una frase letta o ascoltata, un incontro, un paesaggio, la scena di un film o di qualcosa di reale a cui abbiamo appena assistito, un ricordo, una musica, un articolo di giornale, una fotografia… qualsiasi cosa. Ciò che fa la differenza è la nostra disposizione o meno ad ascoltare quell’emozione, anche piccola, a restarci dentro. E allora cerchi, nel linguaggio che ti è più familiare, nel mio caso la musica, di darle uno spazio, di renderla più viva e presente. Costruisci un paesaggio coi colori più adatti a rappresentarla (nel mio caso gli accordi, l’armonia), scegli l’intensità con cui vuoi dipingere quel paesaggio (nel mio caso la scelta del ritmo migliore, dell’andamento che più rispecchia quello che provo) e poi lasci che sia… nei momenti davvero “ispirati” le parole e la melodia arrivano insieme, come se esistessero già da qualche parte… ed io lascio semplicemente che si manifestino. Altre volte capita che arrivi solo la melodia, e le parole arrivano in un secondo momento, oppure ho già un testo (magari scritto da altri, com’è felicemente capitato con le poesie di Gianni Secco e di Andrea Zanzotto) su cui costruisco una linea melodica. Ogni canzone ha una sua specifica storia. 

L’artista ha la capacità di vedere l’”altrove” dell’esistente. Quella capacità che è dono ma anche esercizio, allenamento. 

Niccolò Fabi ha scritto una cosa bellissima: “In un ipotetico equipaggio ci sono tanti ruoli. C’è chi rema perché ha forza fisica, c’è il timoniere che ha la capacità di leggere le increspature del mare e i cambiamenti di vento, c’è il comandante che deve prendere delle decisioni difficili. Poi c’è quello che sale sull’albero maestro e a un certo punto vede l’approdo e dice agli altri “È là”. Dà una speranza a chi è rimasto giù, una prospettiva, anche sfidando il vento. Le canzoni sono questo, qualcosa di poetico ma non elitario: il ruolo della vedetta è di sodale con un gruppo di persone che stanno sulla stessa barca. Gli artisti sono quelli che possono dire “Terra!” prima dei comandanti”. 

E sì, è un dono ma è anche lavoro quotidiano. L’altrove dell’esistente non urla: sussurra. Si cela tra le pieghe degli eventi, puoi seguirne le tracce e non lo troverai né tantomeno comprenderai mai per intero. Quello che conta è quanto coltiviamo la nostra capacità di sentire. Questo vale sì per chi come me ha fatto dell’arte anche la propria professione, ma vale per tutti. Passiamo gran parte della nostra vita a pensare ed agire senza essere davvero presenti in ciò che facciamo, la nostra testa è sequestrata da congetture, pensieri sul passato o sul futuro, giudizi su di noi e sugli altri, che spesso non c’è spazio per accorgersi di ciò che ci passa accanto, ci sfiora, ci provoca, e di quello che ci accade dentro… soprattutto in quest’epoca in cui siamo tutti (me compresa) così attaccati al cellulare e a tutto l’infinito mondo che contiene. Per questo tutti noi dovremmo allenarci a trovare tempi e spazi per coltivare l’arte di ascoltare, dalla quale tutto ha inizio: che sia una musica, un’altra opera d’arte, o anche semplicemente il gesto in una relazione, un lavoro ben fatto, un esserci davvero.

Che suggerimenti daresti a chi sta iniziando il suo ascolto artistico del mondo con cuore, occhio, orecchio, corpo? 

Mi piace che parli di “ascolto artistico” perché il processo artistico comincia proprio dall’ascolto, ma non ci pensiamo quasi mai. Quasi che l’arte fosse solo un FARE, magari per mostrare quanto siamo bravi e meritevoli di successo e celebrità. Invece a mio avviso l’arte ha anche una forte componente “passiva”, passami il termine, senza la quale nulla di davvero profondo accade: l’aprirsi al mistero che ci circonda e che portiamo dentro, alle nostre zone interiori più nascoste e ferite, entrarci e poi restare, e lasciare semplicemente che accada qualcosa… Qualcuno potrebbe dire: “E se non succede nulla?”. Il nulla è fecondo, se ascoltato davvero, ci trasforma e si trasforma sempre in qualcosa di nuovo. Ci sono tante cose che possiamo fare per imparare a “nutrire l’anima”, a “lasciar accadere”: meditare, viaggiare (senza il pensiero costante di cosa fotografare e mettere su Instagram), perdersi nella bellezza che possiamo trovare anche dietro casa, anche semplicemente in un fiore o un insetto perfetto, guardare un bel film, ascoltare musica capace di farci emozionare e commuovere, leggere un bel romanzo, andare alla mostra di un pittore che ci piace e prenderci il tempo per immergerci in uno dei suoi dipinti, per diventare quel dipinto… Sono tutte chiavi per aprire la porta del sentire, che molti di noi magari hanno chiuso a doppia mandata. Perché chiudiamo quella porta? Perché attraverso di essa insieme alle cose belle passa anche il dolore, quello che non vorremmo sentire perché è difficile da sostenere. Quello che ci abita per i nostri vissuti più traumatici ma anche quello per le sorti del mondo, per la sofferenza che ci circonda. Ne abbiamo paura. Ma il dolore è un terreno fertile, se non addirittura necessario, per crescere e conoscerci, e conoscere più a fondo il Mistero dell’essere vivi. Forse Arte significa anche attraversare il nostro dolore più grande, abbandonandoci e lasciando che il mistero ci parli attraverso di esso e, dopo essere scesi nei nostri abissi, tornare all’asciutto, al sole, a raccontarlo, trasformati. 

Lungo il cammino dell’arte, e della Vita stessa direi, siamo minacciati da due ostacoli, capaci di farci sprangare la porta del sentire, di paralizzarci e, dunque, di impedirci di ascoltare davvero e di creare: la Paura e il Giudizio. A volte possono salvarci, certo, ma se diventano le emozioni predominanti il flusso stesso della vita si riduce a un rivolo. Come liberarsene? Praticando la fiducia, in noi e nell’essere umano, e l’accettazione, di noi e dell’essere umano, con i nostri limiti e le nostre imperfezioni… ‘na parola, mi dirai! Eh già… è una cosa difficilissima anche per me, un lavoro quotidiano… Ci si aiuta facendo qualche bella passeggiata nella natura, respirando a fondo, coltivando relazioni con persone positive che ci vogliono bene, perdonandoci. Così se vorremo potremo trasformare quello che abbiamo scoperto e sentito, producendo una nostra opera, senza la pretesa che sia perfetta, ma con la fierezza data dal saperla profondamente nostra e vera. Poi di certo possiamo affinare i nostri strumenti: studiare la nostra forma d’arte, allenarci, avere buoni maestri, fruire assiduamente dell’arte altrui e imitarla, perché lo sviluppo di un linguaggio nostro autentico parte dall’imitazione del linguaggio di chi più stimiamo, come in tutte le cose. 

Ho visto che nel video di SALE e nel booklet del tuo disco è presente un asino, perché? 

Eh! Un po’ è un omaggio alla mia asina, Nina. Ma soprattutto perché reputo l’asino non solo uno degli animali più straordinari che l’uomo abbia avuto la fortuna di incontrare, ma anche una sorta di maestro, di simbolo, soprattutto in quest’epoca. E’ per antonomasia uno degli animali più denigrati, disprezzati e sottovalutati solo per via del suo carattere così mite e generoso, eppure è l’animale che più è stato utile e al servizio del genere umano. E’ erroneamente considerato un animale stupido (ce l’ho un po’ con Collodi per questo!), solamente perché a differenza del cane non si adegua ciecamente ad ogni volere di noi umani ma pensa con la sua testa, e pensa pure parecchio! E’ una delle cinque specie animali utilizzate per la pet therapy con persone con disabilità, proprio per la sua straordinaria empatia, per la capacità che ha di leggere dentro alle persone, e di trovare strategie per stabilire con loro un rapporto e una comunicazione, soprattutto con le più sofferenti e in difficoltà. E’ un animale paziente, modesto, comprensivo, giocherellone, gentile e coraggioso. Il suo camminare lento e attento, il suo mettersi al servizio, la sua allegria, il suo saper ascoltare, hanno davvero molto da insegnarci.


L’articolo di presentazione dell’album lo puoi leggere: qui


Eccoti alcuni link per conoscere Erica Boschiero

http://www.ericaboschiero.it

https://www.instagram.com/ericaboschiero/

https://www.youtube.com/channel/UCLWKXfBxTPoAfNcRVLnFf5A

L’album lo puoi acquistare qui: https://www.squilibri.it/catalogo/crinali/erica-boschiero-respira.html

3 risposte a "Erica Boschiero. L’intervista"

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